Governissimo, c'è il fronte del no Sinistre e movimenti: ora il voto

Dalla Rassegna stampa

Il fronte del no al governo del presidente, tecnico o di responsabilità o "mari& Monti" batte un colpo. Un colpo preventivo. Perché, propaganda a parte, alla possibilità di un nuovo esecutivo credono in pochi. È voce ormai acquisita quella sullo scetticismo dello stesso Bersani. Ma si guarda bene dal dichiararlo per non avere un effetto negativo sui 'dissociati Pdl' che puntano sulle opposizioni per tenere in vita la legislatura. Dello stesso avviso ormai anche Pier Ferdinando Casini, tant'è che ieri ha voluto esplicitare il senso delle parole di Napolitano: «Il suo comunicato certifica l'impegno dell'opposizione a concorrere alla formazione di una nuova compagine di governo su basi parlamentari più ampie e non ristrette ad un solo schieramento. Ora tutto è chiaro e anche i parlamentari della maggioranza che hanno a cuore il Paese conoscono i termini esatti». Il no di Alfano e Bossi rendono, appunto «chiara» la posizione di Pd, Terzo Polo e Idv: basi parlamentari «più ampie e non ristrette» non ci sono. Nonostante i dispacci su nuovi transfughi che arrivavano ieri dalle trincee Pdl. Tra le opposizioni parlamentari c'è comunque chi crede ancora nella prosecuzione della legislatura (Franceschini e i veltroniani). Chi rispolvera persino l'ipotesi di una mozione di sfiducia, eventualità esclusa dagli stessi Bersani e Casini che ieri, in un incontro riservato, hanno preparato l'affondo in aula sul voto sul rendiconto 'bis'. E chi chi fa i calcoli del disavanzo di voti fra quelli dei congiurati Pdl e quelli dei radicali, che annunciano il loro voto sul merito «come sempre», lasciando però intuire "come sempre" il no all'eventuale fiducia al governo.

«Capisco l'affanno del Pd che sente la responsabilità di dover affrontare questa fase con l'immagine di un paese allo sbando e per questo ha coltivato l'idea di una fase transitoria, ma non ci sono le condizioni per un governo tecnico», attacca Nichi Vendola. «La crisi che stiamo vivendo sarà lunga e la risposta che da dare è politica e non tecnica: l'idea che ci siano le ricette tecniche che possano portare fuori dalla crisi è pura ideologia. Sarebbe solo continuare l'opera di macelleria sociale cambiando il macellaio per renderlo più presentabile».

Più ci si inoltra a sinistra, più i toni contro il governo di responsabilità nazionale si fanno duri. Un governone con dentro tutti, compreso Di Pietro, ma non le sinistre, finirebbe anche per terremotare il cammino della coalizione del Nuovo Ulivo. E anche quello, già non agevolissimo, del fronte democratico che il Pd propone agli alleati che non vogliono fare un patto di governo. «Un esecutivo tecnico che senza alcuna investitura metta in atto le operazioni antisociali che ci chiede la Ue, sarebbe un errore clamoroso» anche per Paolo Ferrero, segretario Prc. «Il ritiro del referendum in Grecia mette ormai in evidenza che non c'è compatibilità fra questa Unione e la democrazia. Non vogliono far votare la Grecia, e neanche l'Italia: se siamo un protettorato, che almeno ci facciano votare in Germania». «Il governo Berlusconi non è più in grado di fare il 'lavoro sporco' di mettere in atto le misure della Bce perché i suoi alleati non le vogliono fare», ragiona Orazio Licandro, Pdci. «Ora alla Bce serve un governo disponibile ad assumere misure ancora più inique di quelle che abbiamo visto fin qui, e che obbedisca alla lettera 'Trichet-Draghi': a questo serve non andare a votare. Perché è molto probabile che gli italiani, chiamati al voto, dimostrino di avere tutta un'altra idea». Non sono solo i partiti della sinistra coalizzabile e non (fra questi ultimi il Pcdl per il quali il governissimo è «l'unione sacra degli amici dei banchieri») a rifiutare in blocco il governo di transizione. Ci sono i movimenti sociali e sindacali (da quelli di base alla «Cgil che vogliamo») e della «primavera» dei referendum, pronti a farsi sentire, se mai l'ipotesi dovesse andare avanti. Come il comitato per l'acqua pubblica: «L'esempio del referendum in Grecia è clamoroso: non importa con quali motivazioni era stato proposto, importa con quali è stato ritirato», ragiona Marco Bersani. «Ormai è chiara l'antitesi fra mercati finanziari e democrazia. Ma per noi esiste un'altra possibilità. Ed è l'apertura di una fase costituente, una consultazione popolare su come uscire dalla crisi, e su quali chi debba deciderlo. Insomma, falliti quarant'anni di favole liberiste, dobbiamo discutere insieme su come si costruisce il futuro».
 

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