La governabilità si conquista non è un diritto

Dalla Rassegna stampa

A proposito della legge elettorale, si potrebbe contraddire la fiduciosa previsione di Obama dopo la sua vittoria alle presidenziali Usa, perchè sembra proprio che «il peggio debba ancora venire». A furia di compromessi tra i partiti, fatti solo sulla base dei pronostici elettorali per l’imminente voto della prossima primavera, si potrebbe arrivare al varo di regole elettorali non solo senza alcuna coerenza politica e costituzionale, ma talmente cervellotiche da non rispondere nemmeno a una delle due fondamentali esigenze: il rispetto della volontà dei cittadini e la governabilità del Paese.

 

Per capire come sia possibile temere persino che la nuova legge sia peggiorativa del famigerato «porcellum», forse è utile un breve riassunto delle puntate precedenti.

 

Cominciamo proprio dall’inizio della nostra storia repubblicana.

 

I partiti nati nel dopoguerra, forti di una fresca legittimazione democratica, animati da ideologie, magari contrastanti, ma profondamente radicate negli animi dei loro adepti, pronti a rivendicare l’ampio consenso elettorale complessivamente a loro attribuito dal popolo italiano, decidono per un sistema perfettamente proporzionale. Soddisfano, perciò, la prima condizione, quella della assoluta rappresentatività del Parlamento rispetto agli umori popolari, poiché è inutile preoccuparsi della seconda. La governabilità è assicurata, infatti, non dal sistema elettorale, ma da quella divisione del mondo tra comunismo e democrazie che garantisce all’Italia, nei fatti, un sostanziale bipolarismo.

 

La caduta del Muro di Berlino e la quasi contemporanea caduta dei partiti firmatari della nostra Costituzione impone, da questo punto di vista, un cambiamento radicale. Così, l’alternanza al governo, divenuta possibile, si fonda su due schieramenti cementati da un mascherato presidenzialismo. Gli italiani votano, nei fatti, per scegliere un premier, in contrasto sostanziale con la Costituzione. I cittadini, a cominciare dalla riforma battezzata «mattarellum», vengono, via via, espropriati delle preferenze e gli eletti al Parlamento sono scelti dai segretari dei due schieramenti. Il potere, una volta tutto concentrato nei partiti e nell’esito delle lotte tra correnti, si trasferisce sulle figure carismatiche dei leader. Un mutamento che diventa evidente quando sui simboli delle forze politiche prevalgono i nomi dei loro capi. Il fenomeno che viene efficacemente definito come il sistema dei «partiti personali». La legge elettorale elaborata da Calderoli, a questo punto, è la coerente e necessaria condizione perché si applichi questa metamorfosi della nostra Repubblica.

 

La terza tappa di questa storia arriva adesso. I partiti, a cominciare da quelli più caratterizzati dai loro leader, vengono travolti dalla disaffezione e, persino, dal disprezzo generalizzato della gran parte degli italiani. Ecco perché, invece di cercare una rilegittimazione del loro ruolo e di riacquistare la fiducia dei loro elettori, meglio ex elettori, cercano, con una nuova legge elettorale, di garantirsi o la vittoria o, almeno, di impedire la vittoria degli avversari. E, comunque, di evitare che il discredito degli italiani nei loro confronti favorisca quel populismo demagogico da loro, per anni, alimentato.

 

Il vergognoso ritardo con il quale ci si appresta a cambiare il «porcellum» fa sì che la nuova legge elettorale non nasca dalla preoccupazione di garantire un sistema coerente di regole che assicuri quella governabilità voluta dalla maggioranza degli italiani. L’ottica è solamente quella della convenienza partitica, fondata sui più recenti sondaggi per le prossime elezioni. Una volontà, bisogna darne atto, neanche coperta dalla minima ipocrisia, ma confessata spudoratamente da tutti.

 

In virtù di questa necessità si compiono le acrobazie dialettiche più incredibili. Il Pd è passato dalla «vocazione maggioritaria», di veltroniana memoria, alla «pretesa maggioritaria», rivendicata da Bersani, attraverso un consistente premio di parlamentari al prevedibile piccolo vincitore del voto di aprile. Il Pdl, dopo aver sprecato in questa legislatura quel robusto premio di maggioranza assicurato dal «porcellum», trova ora distorsivo della volontà popolare questo meccanismo di governabilità. Le preferenze, prima demonizzate dal referendum promosso da Segni come simbolo di ogni malaffare, vengono ora riscoperte, come trasparenti mezzi di espressione politica dei cittadini. Il migliore sistema elettorale possibile, inutilmente consigliato da quasi tutti i politologi, quello fondato sul doppio turno in collegi uninominali, non viene neanche preso in considerazione.

 

A questo punto, la disperazione suggerirebbe persino di auspicare che rimanga in vigore l’orrendo «porcellum», in modo da consentire che, nella prossima legislatura, non più sotto la necessità di guardare a convenienze immediate, prevalga un minimo di ragionevolezza politica e di rispetto per le istituzioni democratiche. Bisognerebbe, però, resistere a questa tentazione e ricordare ai partiti che la rappresentatività dei voleri popolari non si conquista con le regole elettorali quando, come è capitato in Sicilia, la maggioranza degli aventi diritto non va a votare. E che la governabilità non viene garantita dai premi di maggioranza, ma dalla capacità di offrire agli italiani un programma serio e credibile, avanzato da una classe politica rinnovata e altrettanto seria e credibile. Insomma, per governare non basta una legge, bisogna dimostrare di saperlo fare.

 

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