«Google garantisca il diritto all’oblio»

Chi decide che cosa possiamo sapere degli altri? In base a quali logiche e interessi? Può bastare un algoritmo, come quello del motore di ricerca di Google? Una sentenza della Corte Ue risponde di no. E apre uno scenario di trasformazione per l’intero ecosistema del web.
Non esiste più la scarsità di informazioni. Esiste la scarsità di tempo, attenzione, rilevanza delle informazioni. Il loro valore non dipende da chi le offre, ma da ciò che le trasforma in conoscenza organizzata, accessibile, affidabile. In Europa, lo strumento primario nella ricerca su internet è, nel 90% dei casi, Google. Cresciuto simbioticamente con la crescita della quantità di dati disponibili in rete, il motore ha acquisito un enorme potere di governo delle informazioni. Il suo algoritmo ha dettato legge sulla struttura del web e su ciò che trovano le persone che lo usano. Le istituzioni tradizionali della conoscenza ne sono uscite spiazzate. Le strategie di memorizzazione si sono trasformate. Le relazioni sociali si sono adattate. Ma la Corte Ue ha stabilito che di ieri, l’algoritmo non basta più. Certo, l’idea che Google fosse una macchina neutrale - irresposabile - rispetto all’informazione che trattava era superata da un pezzo: di fatto anche se, fino a ieri, non di diritto. In effetti, il motore e il suo algoritmo sono cambiati nel tempo in funzione dell’evoluzione del web.
All’inizio, il calcolo del numero di link in entrata era la variabile più importante nella valutazione della rilevanza delle pagine web. Ma gli utenti hanno inventato modi fantasiosi ed efficaci per fare apparire le loro pagine più in alto nelle risposte offerte da Google. Sicché l’azienda americana ha spesso cambiato il suo algoritmo, inseguendo un’idea di servizio sempre più personalizzato e contestualizzato, in base a un’interpretazione della qualità dell’informazione. Ne usciva uno strumento che non poteva essere oggettivo, perché rispecchiava le opinioni dei suoi progettisti. Che si prendevano una responsabilità. In via del tutto ipotetica, avrebbero potuto cercare di dare diversa importanza alle pagine in base alla data di pubblicazione; o tentare di connettere le notizie sulle persone per darne un quadro più completo. E non sappiamo se in effetti ci hanno provato, anche per tener conto delle richieste sul diritto all’oblio, in conflitto peraltro con il diritto alla disponibilità di documenti storici o la libertà di espressione.
Ma il modo scelto dalla Corte Ue per mettere Google di fronte alle sue responsabilità è sorprendente. Di certo, l’azienda tenterà di spiegarsi in tutte le sedi competenti. Ma se il principio stabilito dalla Corte Ue dovesse essere portato fino in fondo, la ricerca sul web diventerebbe molto meno una questione di ingegneri e molto più una faccenda per avvocati, sociologi, psicologi, antropologi. Si sono confrontate due sovranità: quella tecnologica multinazionale e quella giuridica sovranazionale. Le conseguenze sono tutte da scrivere. Ma sappiamo che non sono prevedibili. Internet è un ecosistema complesso. Qualunque intervento che ne modifica una parte ha conseguenze dirette e indirette su altri elementi. E come ogni intervento architetturale dovrebbe essere preceduto da una valutazione di impatto digitale.
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