Giovine, per le firme false parlano i tabulati

E’ talmente fasulla la vicenda della raccolta firme per la lista Pensionati per Cota da parte di Michele e Carlo Giovine in occasione delle elezioni regionali che non è neppure necessario accertare il falso materiale. Bastano i tabulati dei telefoni dei due a stabilire la falsità delle loro dichiarazioni. E’ quanto scrive il giudice Alberto Oggè nelle motivazioni della sentenza di appello con cui Carlo e Michele Giovine, padre e figlio, sono stati condannati a due anni e otto mesi e a due anni.
Le motivazioni della sentenza di appello sono state depositate ieri e in sessantadue pagine riassumono i motivi della condanna deciso dalla Corte presieduta da Oggè. Michele, consigliere regionale, e suo padre Carlo avevano dichiarato, negli appositi moduli, di aver raccolto le firme a Gurro, in provincia di Novara e a Miasino, in provincia di Verbania, dove entrambi rivestivano la carica di consiglieri comunali e in quanto tali erano quindi pubblici ufficiali il 25 febbraio 2010.
Le indagini però avevano scoperto, attraverso l’analisi dei tabulati dei loro cellulari, che si trovavano da ben altra parte. Già la sentenza di primo grado aveva stabilito che 17 delle 19 firme raccolte erano state falsificate sulla base di due consulenze teoricamente opposte, quella della difesa e quella dell’accusa. Gli avvocati dei Giovine avevano chiesto alla Corte d’appello una nuova perizia rifiutata però dai giudici. E nelle motivazioni Oggè ora spiega il perché una nuova perizia fosse inutile: «Il fatto che i due non si trovassero dove dichiarato nei moduli di raccolta firme è sufficiente a integrare il reato di falso».
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