I giovani che s'indignano per le cause sbagliate

E qual era, alla fine, il grande peccato di Marco Pannella? Aver avuto ragione. Due volte. La prima, dimostrando che le istituzioni si rispettano. Sempre. Non si esce dall'Aula mentre parla il Presidente del Consiglio. Anche se lui e i suoi, a parti invertite, lo fecero. Anche se il suo governo è immobile e si regge sullo scilipotismo eretto a sistema. La seconda, perché l'ennesimo assalto alla diligenza ha per l'ennesima volta rafforzato la diligenza.
Del resto, se l'Aventino non servì neppure contro i fascisti, figuriamoci contro i poltronisti che accorrono a salvare un governo che mette in palio sottosegretariati... Così, Pannella ha risposto ironico ai perdenti che gli davano del traditore: «Non possiamo fare di mestiere quelli che salvano i carcerati e i Democratici. Sospetto ci sia del masochismo: anche quando l'altro è ridotto a polpette, quelli che sono mangiati sono loro». E ancora: «Ci cacciano? Se ci tengono ad essere totalmente dipendenti dalla loro mediocrità, facciano pure». Sul web si è scatenata subito la caccia al radicale. Ma era nulla rispetto al 15 ottobre.
Già. La folla del 15 ottobre si è presa il gusto di calpestare prima una Madonna e poi anche il simbolo di una religione laica e rigorosa che mille volte puoi non condividere ma mille volte devi (dovresti) rispettare. Il fatto politico rilevante è uno. La Madonna l'hanno distrutta i black bloc; quindi c'è poco da commentare, perché il teppismo si reprime e non si commenta (anche se non mancano i soliti dipietrinisampietrini e i soliti valentiniparlato pronti ad attenuare, giustificare, dire che la violenza non è di chi la fa ma dello Stato che la provocherebbe). Pannella, invece, è stato insultato, cacciato e riempito di sputi dalla piazza "buona", quella che piace persino a Draghi. È lì che un uomo senza difese si è difeso da solo, contro una massa che non gli perdonava di voler affrontare la crisi politica con la politica, con la legalità, non con le forzature e le strizzate d'occhio al qualunquismo.
Pannella. Ancora una volta aggredito. Ancora una volta sconfitto, con quei capelli immacolati come la passione che aveva quando credeva che davvero l'Italia potesse essere il Paese del senso pubblico e della democrazia trasparente, delle regole al di sopra degli uomini, della sinistra liberale che combatte all'interno di un sistema bipartitico anglosassone. La partitocrazia, contro cui tuonava già 40 anni fa, è più arrogante di prima, al punto che neppure più si avvicina al termine "partito" e si chiama direttamente "casta". E la pattuglia pannelliana continua ad inseguire tracce di liberalismo come un cercatore d'oro fra le rocce e i fiumi del profondo Nord.
Sulla storia di Pannella pesano gli errori, gli eccessi, i peccati di protagonismo di un leader che ha sempre preferito essere il capo di una cosa piccola che partecipare ad una più grande. Ma di fronte a quell'ombra gigantesca, da capo Sioux, da eremita in prestito, che affronta il coro di «buffone, venduto, vecchio schifoso» e che dice «grazie!» a chi lo accusa di essere «amico di Craxi»... di fronte a lui, uno pensa agli "altri": fantasmi incolori senza neppure avere 80 anni, violenti nelle loro scomuniche fresche di Ballarò, muti ed inespressivi nonostante le medaglie del potere che suonano. Uno pensa a questi, e si chiede se anche questa volta i sinceri giovani italiani non si stiano indignando per le cause sbagliate.
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