La giornata "senza di noi" tra slogan e palloncini gialli

Dalla Rassegna stampa

C'è stato lo sciopero degli immigrati, ieri, ma non ci sono dati che raccontano quanti negozi sono rimasti chiusi - anche se a piazza Vittorio molte saracinesche sono rimaste abbassate in mattinata - o quanti autobus si sono fermati, o quanti mercati sono rimasti chiusi perché senza frutta e verdura, «perché non contava questo, conta il fatto che siamo scesi in piazza, in tante piazze, per reclamare i nostri diritti, a cominciare da un lavoro non più in nero, perché vogliamo lavorare non essere sfruttati, perché a scuola ho diritto di iscrivere mio figlio senza che ci sia un limite», raccontano uomini e donne indiani, pachistani, africani, ucraini, moldavi, filippini che arrivano a piazza Vittorio in cinquemila. quando è già buio, perché il orteo è rimasto bloccato nel traffico. Accanto a loro anche i braccianti cacciati da Rosarno che chiedono «di essere visti, tanto per cominciare, di essere ascoltati».
Tra balli, musica e slogan, sfilano contro la Bossi-Fini, il pacchetto sicurezza e il limite dei trenta per cento per l'iscrizione di alunni stranieri nelle scuole, qui, come in altre sessanta città italiane, come a Parigi da dove è partita questa giornata "senza di noi". Tutti con addosso qualcosa di giallo, il colore della protesta: un braccialetto, un nastrino, un fazzoletto, l'adesivo "Non toccare il mio amico", gli striscioni "il nostro cuore piange", "no allo sfruttamento", "troppa intolleranza, nessun diritto", fino ai messaggi più immediati. semplici, "pace", "siamo tutti uguali", "lavoriamo tna non abbiamo diritti". Perché è così, racconta Dosti Shgiponja. albanese che lavora per la Cgil che ha organizzato questa grande piazza colorata: «Chiediamo la regolarizzazione per tutti gli immigrati, il prolungamento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro». Perché quando perdi il lavoro finisci di esistere, «ho paura di andare in ospedale, ho paura di essere fermato, ma non è colpa mia se l'agenzia di viaggi dove lavoravo ha licenziato metà personale», racconta Shaf, 32 anni, pachistano, la famiglia l'ha mandata a casa perché qui non arrivava a fine mese.
Sul palco di piazza Vittorio, sotto un cielo di ombrelli e palloncini gialli, gli stranieri raccontano le loro storie. Yousef Salman, palestinese, medico pediatra di Luna rossa: «E per favore non parliamo più di integrazione, che vuol dire che devi cancellare il tuo passato, la tua storia, noi scegliamo la parola inserimento, per inserirciin questa città tollerante, nella quale riconoscere diritti e doveri». I bambini che parlano tutte le lingue del mondo giocano con il mago Mancini,
le mamme africane e indiane bevono tè, «le mie amiche dell'Est non sono venute, sono a casa, a badare alla signora anziana, però è giusto così».
Ma questa mobilitazione è cominciata già dalla mattina. Alla sede Inps di Roma, una cinquantina di immigrati ha protestato per il riconoscimento dei contributi previdenziali di cui non godono se lasciano il paese, gli studenti dell'Onda
hanno tenuto lezione di clandestinità a piazza Montecitorio e i collettivi universitari hanno lasciato sotto il ministero dell`Istruzione un cartello stradale di divieto di accesso "eccetto per gli studenti bianchi, ricchi e italiani", riferito al tetto del trenta per cento di bimbi stranieri imposto dalla Gelmini.

 

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