Il giornalista Quirico è di nuovo a casa, liberato dopo un sequestro durato 5 mesi

Dalla Rassegna stampa

Il segnale di via libera alla fase finale della trattativa era arrivato il 7 agosto scorso, quando il ministro degli Esteri Emma Bonino è apparsa in tv per «dire a Domenico Quirico e a sua moglie che non ci diamo per persi». E ieri sera, poco dopo le 21, la notizia della liberazione è diventata ufficiale: «L’inviato de "La Stampa" scomparso il 9 aprile in Siria è stata liberato ed è arrivato ieri sera a Roma». È la fine di un incubo durato cinque mesi. L’esito straordinario di un negoziato complicato, reso in alcune fasi quasi impossibile proprio perché il giornalista era in teatro di guerra, nelle mani di un gruppo ribelle, probabilmente criminale, ma con forti affinità con Al Qaeda. Un intreccio di circostanze che in alcuni momenti hanno fatto tenere il peggio. E invece l’unità di crisi della Farnesina e gli uomini dell’Intelligence guidati da Giampiero Massolo non si sono mai arresi e alla fine hanno potuto dichiarare conclusa la missione. Ieri poco dopo le 19 proprio Quirico ha chiamato casa dall’aereo e ha parlato con la figlia Eleonora: «Come state?», ha chiesto. Lei quasi non ci credeva: «Papà, come stai tu?». Lui non si è scomposto: «Bene, sto bene. Non dite a nessuno che sono libero». Evidentemente non sapeva che il ministro aveva già annunciato il suo rilascio. Non sapeva che il presidente del Consiglio Enrico Letta aveva contattato i suoi familiari per esprimere «viva soddisfazione» e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si era congratulato «per il lavoro straordinario della Farnesina e dei servizi segreti». Con lui è stato liberato anche il cittadino belga Pier Piccinin.

La notizia del sequestro era stata resa nota da «La Stampa» il 29 aprile scorso con un articolo pubblicato sul sito Internet e la comparsa di un fiocchetto giallo diventato simbolo di solidarietà e per questo sempre presente nelle pagine dei quotidiano torinese. Ma la paura si era trasformata in angoscia di fronte a un silenzio che si è interrotto soltanto il 6 giugno quando Quirico è riuscito a telefonare alla moglie solo per rassicurarla di essere vivo. Quanto bastava per riaccendere la speranza di riportarlo a casa. Da allora altri contatti - almeno tre telefonate - ci sono stati tra il giornalista e i familiari, ma soprattutto un filo di trattativa è sempre stato tenuto aperto con i rapitori, nella consapevolezza che una contropartita si sarebbe dovuta versare per riportarlo a casa. E il 9 agosto era stato proprio Massolo, parlando di fronte al comitato parlamentare di con- trono sui servizi segreti a fornire ulteriori dettagli: «Si tratta di una banda di criminali ordinari, stiamo trattando». In realtà, secondo gli analisti, si trattava di un gruppo ribelle ben organizzato e con varie «cellule» e basi su cui fare affidamento e quelle notizie fatte filtrare servivano a fornire il segnale giusto sulla volontà delle autorità italiane di continuare a negoziare fino alla liberazione. Soprattutto a mostrare la disponibilità per la pianificazione di una consegna in sicurezza, visto che in questi casi, in special modo in un territorio così ostico come quello siriano, il vero rischio è che nelle fasi finali del negoziato l’ostaggio possa essere ceduto dagli stessi rapitori o comunque che passi di mano se un capo tribù o, peggio, un leader fondamentalista, ne impone la cessione.

 

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