Il gioco al massacro per il Colle

Se dipendesse da Angela Merkel, il successore di Giorgio Napolitano al Quirinale dovrebbe chiamarsi Mario Draghi. In questa fase il presidente della Bce non riscuote la simpatia dei tedeschi, in particolare della Bundesbank, che teme come la peste la monetizzazione del debito pubblico, prassi di moda in passato e archiviata con l'avvento dell'euro. Ma è difficile che Draghi si trasferisca da Francoforte sul colle più prestigioso di Roma. Primo, perché il diretto interessato non ne sarebbe entusiasta. Secondo, perché non ne sarebbe entusiasta l'indiretto interessato, vale a dire Matteo Renzi. L'ex Rottamatore, con Draghi alla presidenza della Repubblica, si ritroverebbe di fronte a un «commissario» dei conti pubblici italiani, con tutto quello che ne seguirebbe.
Forse Renzi direbbe sì al numero uno della Bce solo se costretto, solo se la scelta servisse ad allontanare il fantasma del commissariamento vero e proprio dell'economia italiana da parte della Trojka (Bce, Commissione europea, Fondo Monetario). E non è detto che la Cancelliera non ricorra a questo argomento per neutralizzare la riottosità di Draghi e Renzi al trasferimento del primo dalla guida dell'euro alla guida del Belpaese.
Avete capito. La successione a Napolitano non è e non sarà un affare solo italiano. Riguarda e interesserà l'intera Europa, con l'aggiunta di Russia e America. Le grandi manovre sono cominciate da tempo e sono destinate a lasciare sul terreno decine di vittime. Sì, perché il Quirinale è il sogno di ogni leader, è il crocevia di tutti i giochi politici, è la vera cabina di regia del Sistema, l'unica architrave stabile di un'architettura costituzionale più pericolante della Torre di Pisa. Conquistare il Quirinale significa orientare le scelte politiche più di due elezioni vinte a man bassa.
Una volta quella per la presidenza quirinalizia era una partita ristretta ai veterani, alle riserve della Repubblica. Oggi no, anche perché la panchina delle riserve non è più così affollata. Ma la quadratura del cerchio, ossia la sintesi tra le esigenze dei vari registi e attori in campo è più complicata di una storia cinematografica di Michelangelo Antonioni (1912-2007). Renzi, non è un mistero, non gradisce, nell'ex dimora dei papi, una figura preponderante, suscettibile di oscurare il suo protagonismo. Al premier andrebbe bene una soluzione modello Mogherini, ossia un facsimile dell'operazione che ha portato in Europa l'ex ministra degli Esteri. Ma alleati e avversari non paiono particolarmente propensi ad assecondare il disegno di Don Matteo. Il che renderà più roventi di mille bracieri le giornate delle presidenziali all'italiana.
Silvio Berlusconi, ora interlocutore principale di Renzi sul tavolo delle riforme, è disposto a dire sì alla nuova legge elettorale soltanto se egli potrà dire la sua sul nuovo Capo dello Stato. Il suo candidato ideale è Gianni Letta, ma l'ex Cavaliere è il primo a sapere che questa aspirazione è destinata a rimanere tale. Il candidato reale del leader forzista è Giuliano Amato (spinto anche da Napolititano). In subordine Franco Marini. Renzi sarebbe pure d'accordo su entrambi. Ma appoggiare Amato o Marini significa, per il premier, rinunciare allo status di Rottamatore, in virtù del quale Matteuccio ha stabilito il primato anagrafico nazionale di approdo al vertice del governo.
Prodi. Romano Prodi è il nome più insidioso per Renzi. Potrebbe rivelarsi la soluzione di Beppe Grillo per spaccare ulteriormente il Pd. Potrebbe significare, Prodi, la rottura tra il primo ministro e Berlusconi. Senza considerare il fatto che Prodi è un nome di peso, poco assimilabile ai progetti e alle strategie di un presidente del Consiglio come Renzi. Paradossalmente Prodi potrebbe farcela solo se dovesse dissolversi il veto di Berlusconi, di cui è stato un irriducibile antagonista. I due potrebbero riavvicinarsi nel segno della riappacificazione e di un atto di clemenza che, al Quirinale, solo un anti-berlusconiano doc come il Professore potrebbe firmare. Quella di Prodi potrebbe rappresentare la classica mossa del cavallo, più da parte di Berlusconi che di Grillo. Una mossa che il Cavaliere avrebbe potuto attuare già due anni fa. Ma... rimane ancora fantapolitica.
D'Alema. Massimo D'Alema è la vera ossessione di Renzi, che forse se lo sogna di notte. D'Alema non si ritrova eurocommissario per una questione di date. Sapendo che Napolitano avrebbe lasciato in tempi brevi la sua carica, Renzi si è guardato bene dall'inviare D'Alema a Bruxelles perché, da componente della commissione Ue, il lìder Maximo avrebbe incarnato la soluzione istituzionale naturale per la contesa quirinalizia. Viceversa, se al Quirinale si fosse trovato un presidente destinato a durare sino al 2020, D'Alema non avrebbe incontrato gli ostacoli renziani per l'Europa dal momento che il suo mandato sarebbe scaduto nel 2019, quindi non in coincidenza con l'elezione per il Colle. Un fatto è certo: Renzi non vuole ritrovarsi D'Alema sopra (cioè nel posto dov'è ora Napolitano).
Ma anche l'ipotesi Walter Veltroni non rassicurerebbe del tutto il titolare di Palazzo Chigi. E così Emma Bonino. E così gli stessi attuali presidenti di Camera e Senato, privi sì di una forte caratterizzazione politica, ma provvisti di un temperamento autonomo e poco malleabile. Restano, nel totocandidati caro a Renzi, le Pinotti, i Gentiloni e le Finocchiaro, ma la strada, per loro, sarebbe tutta in salita. Potrebbero spuntare nomi di ex giudici costituzionali, per lo più sconosciuti à grande pubblico. Ma, anche in questo caso, perplessità a non finire.
E allora? Non rimane forse che il ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan. Non è un renziano, ma piace a Renzi. È un europeista convinto, ma non dispiacerebbe agli euroscettici. Piacerebbe ai mercati, ma anche alla sinistra Pd. Andrebbe bene a Francoforte (Draghi), ma anche a Berlino (Merkel). Non è scontroso, semmai diplomatico. Probabilmente è l'uomo giusto per non far perdere nessuno.
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