Ginfranco tra realisti e rautiani

Alle cinque della sera, come per effetto di un soffio di vento, nell’ala sinistra del palazzo di Montecitorio si sono chiuse porte, ascensori e piani. Una sorpresa che i commessi, gentili ma inflessibili, hanno spiegato così: «Non si passa, abbiamo avuto disposizioni in tal senso».
In parole molto povere, per impedire ai giornalisti di contare i parlamentari Pdl che alle 17,30 sarebbero entrati nella sala Tatarella per l’assemblea costituente della corrente finiana, un’intera ala del palazzo di Montecitorio è diventata "off limits" per tre ore. Originale decisione disposta per garantire la "privacy" degli amici del presidente e in questo modo nessuno potrà mai sapere quanti erano con esattezza i cofondatori. Ma da ieri il "partito di Fini" ha finalmente un’ossatura, una fisionomia, un gruppo dirigente informale. Resta molto gracile la "rete" dei rapporti esterni: tra i poteri forti (mondo dell’impresa e della finanza, Vaticano, Servizi segreti, magistratura, Rai, rapporti internazionali) ci sono aree di simpatia, ma prevale la diffidenza e anzi alcuni finiani in posti di comando si stanno riposizionando.
Gianfranco Rosítani, entrato nel Consiglio di amministrazione Rai in quota Fini, giorni fa si è riservatamente visto con Silvio Berlusconi, accompagnato da Maurizio Gasparri. Ma da ieri la squadra di Fini è in campo e la formazione rivela un prima sorpresa. La plancia di comando, maschilissima, è formata dalle due ali che ai tempi dell’Msi più si detestavano: gli iper-realisti e i rivoluzionari.
Ieri sera nella Sala Tatarella, accanto a quelli che già una ventina d’anni fa guardavano oltre l’Msi (Italo Bocchino, Adolfo Urso, Andrea Ronchi), erano seduti tanti ex rautiani. Ai tempi dell’Msi i duri e puri, seguaci di Pino Rauti (il fascinoso e controverso fondatore di Ordine nuovo) quelli che dicevano: l’Msi «non può essere un partito di destra», perché a destra ci sono i capitalisti e i conservatori, mentre il fascismo è «rivoluzionario».
Era rautiano il finiano oggi più amato a sinistra, quel Fabio Granata, che trenta anni fa in Sicilia era un missino di base che non si tirava mai indietro: le dava e le prendeva. Era rautiana Flavia Perina (da ragazza, miss "Secolo d’Italia" e oggi direttrice del quotidiano) e i cui genitori Marcella e Wilma - erano tra i più stretti collaboratori di Rauti. Di lei Fini è intellettualmente innamorato: «Una donna intelligentissima». Era rautiano Silvano Moffa, che 20 anni fa al "Secolo d’Italia" curava la pagine delle province italiane con una cura proverbiale e che oggi è stimatissimo da Fini per l’acume nell’approccio legislativo. E ai tempi dell’Msi erano rautiani anche il beneventano Pasquale Viespoli e il romano Andrea Augello, forti di un certo consenso nei loro territori, ma anche i più timorosi di bruciarsi nella nuova compagnia.
Tra i moderati da sempre, Adolfo Urso, siciliano di Acireale, che negli anni al "Secolo" (vi lavoravano anche Fini e Gasparri) e quando i missini erano nel ghetto, un giorno disse a Mauro Mazza, oggi direttore di RaiUno: «Vedrai un giorno, la destra andrà al governo e io sarò ministro. Tu che farai?». Napoletano, 42 anni, Italo Bocchino deve tutto ad un’aspra gavetta con Pinuccío Tatarella, intelligentissimo regista
della prima An, che simpaticamente brutalizzava il suo braccio destro per inezie, richiamandolo con un urlo da paura: «Italoooo!». C’è poi il drappello di quelli portati in Parlamento da Fini (Giulia Bongiorno, Luca Barbareschi, Fiamma Nirenstein), personaggi defilati e "bipartisan" come Alessandro Ruben (lo sherpa più prezioso nella sfera internazionale), ma anche politici da "territorio", i siciliani Lo Presti, Cristaldi, Briguglio, Scalia e il romano Cesare Cursi, un reduce della De di Vittorio Sbardella. Ma intanto tra i parlamentari le defezioni continuano: dopo Marcello De Angelis (ex Terza Posizione), ieri si è tirato indietro anche il napoletano Amedeo Laboccetta (vulcanico ex missino napoletano, due volte arrestato, due volte scagionato). Mario Baldassarri, da tanti dato in area Fini, non ci è mai entrato, mentre Roberto Menia in assemblea ha scandito le parole più dure da sentire: «Siamo passati dai gruppi autonomi ad una non definita area di minoranza, Fini da leader di An, è diventato capo di una piccola minoranza. Ne valeva la pena?».
© 2010 La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU
- Login to post comments