Gianfranco Fini Illuso da Bocchino esploso su Granata

Dalla Rassegna stampa

È finita male, inutile nasconderselo, il PdL ne uscirà pure rotto e interrotto e il ricambio del vertice del quale si sente infinitamente il bisogno sarà ritardato in nome dell'arroccamento, ma Gianfranco Fini più che un leader dimezzato rischia di essere un leader vanificato e probabilmente questo non se lo meritava nonostante i marchiani errori, le grossolane sottovalutazioni, gli imperdonabili snobismi dei quali in prima persona si è reso responsabile, primo l'aver voluto la presidenza della Camera per usarla come trincea avanzata, cosa che non si fa, non ultimo il moralismo un tanto al chilo, quando un appartamento a Montecarlo e vistose raccomandazioni in Rai si potevano rimproverare anche a lui. Dico ugualmente che non si meritava di finire travolto dai pasdaran perché alcune delle questioni delicate che negli ultimi anni è andato ponendo sono autentiche per un partito che nacque liberale e tale non è più, perché tra i finiani, come ormai si usa, chiamarli, ci sono fior di galantuomini e bravi politici, ne cito due, Silvano Moffa e Nino Lo Presti, il quale ieri ha ottenuto all'elezione dei membri laici del Csm cento voti alla, faccia degli anatemi di Ignazio La Russa, e se avesse ascoltato loro il presidente della Camera, invece dei bulli da strapazzo, oggi non si troverebbe nella situazione in cui si trova. Invece ha ascoltato non tanto Italo Bocchino, che, come si dice proprio a Napoli, non mette e non toglie, ma. Briguglio e Granata, quest'ultimo personaggio veramente inquietante, e alcuni futuristi della domenica come Filippo Rossi con parte dell'allegra banda di Fare Futuro, del genere "che ce frega a noi, più si fa casino, meglio è", che va, bene per una rivista scapigliata, non per un movimento politico. Così le cose sagge che andava dicendo sulla partecipazione delle donne alla vita politica, sul diritto delle stesse ad essere scelte per merito, a scegliere di abortire secondo legge di Stato strasancita da referendum, i distinguo avanzati sulla fecondazione artificiale, sul testamento biologico, insomma l'intero corpo di obiezioni etico sociali in nome dell'individuo che non andrebbero lasciate mai solo a radicali e vendoliani, che a un grande partito di destra dovrebbero appartenere, si sono infrante in una guerricciola per bande, e la banda piccola di solito non ce la fa, inutile che sfidi il capo strizzando l'occhio a quello avversario. Infine Gianfranco Fini ha spiaggiato, proprio come un animale perduto nel mare grande, sul giustizialismo, sulle alleanze volgari con certa magistratura, sulla legalità che fa da schermo alle ansie forcaiole, ai pruriti giustizialisti. Non una novità per un ex missino, ma una vera stranezza per un neo liberale. Come pensava Fini di conciliare quote rosa e antimafia professionale, i richiami sugli immigrati ai furori dipietristi? Come ha potuto dare udienza a un personaggio oscuro nella storia, chiarissimo nella traiettoria, come Fabio Granata, uno che le ha fatte tutte sbagliate, dal terrorismo ecologista alla passione per Leoluca Orlando? Davvero tra cosiddetti poteri forti e magistratura d'assalto ha creduto che gli fosse stata costruita una scorciatoia ad hoc verso il potere a costo zero? Non la vedo. Soprattutto come ha potuto pensare che questa deriva giustizialista, e le frasi sull'avvisato di indagine che deve lasciare gli incarichi, non suonassero come un ultimatum per Silvio Berlusconi? Si è visto. Fatto sta che è inutile, mi sbaglierò ma non credo, che ora i finiani gonfino i muscoli e si contino tra una Camera esigua e un Senato inesistente, percentuali lilliput nel Paese. Alcuni di loro tiravano le monetino al Raphael contro uno statista straordinario che li aveva tirati fuori dalle fogne in epoca maleodorante, questa fu la loro gratitudine. Oggi mi auguro che magre soddisfazioni simili non gli siano offerte, una volta all'Italia è bastata.

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