Il giallo della fuga di Tlass "Nessuna diserzione è stato cacciato da Assad"

A confrontare le foto di Bashar Assad e del suo ex amico Manaf Tlas sembra di vedere la rappresentazione iconografica del male contrapposta a quella del bene. Tanto il presidente siriano appare spigoloso e scostante quanto l’altro, il generale disertore, risulta morbido, amabile, un Che mediorientale consapevole del proprio fascino al punto da rendere più che credibile il conoscente che racconta d’averlo visto flirtare alla toilette d’un ristorante trendy di Damasco con la bella commensale seduta fino a poco prima allo stesso tavolo di sua moglie.
Mentre l’inviato dell’Onu Kofi Annan incontra Assad nel tentativo estremo di riesumare l’ormai esangue piano di pace, la defezione «anomala» del più fido graduato del regime alimenta dietrologie e vaticini. L’ultimo ad aver parlato con lui sarebbe l’attivista e collaboratore della Cnn Omar al Muqtad che giovedì notte, a poche ore dalla sua scomparsa, avrebbe raccolto via Skype il racconto della fuga in Turchia determinata dallo sdegno «per la brutalità del governo» e agevolata dalla brigata del Libero Esercito Siriano Maher Noaimi.
«I media occidentali cercavano un disertore d’alto livello e l’hanno trovato», scrive su Al-Akhbar l’analista As’ad AbuKhalil. Resta da capire se, al di là della reazione del regime che additerà «il traditore» denunciandone la corruzione, il coup de théâtre del generale, seguito da cotanto battage, sia frutto di sincero disgusto per la repressione, se sia stato concertato con un Paese straniero (la Francia?) o sia una pensata di Damasco per fornire alla transizione un volto accettabile all’estero ma garante del sistema e dei suoi segreti.
«Tlasss voleva scappare da mesi, stava cercando il luogo migliore in cui trasferire i soldi e la collezione paterna di spade dell’Imam Ali quando il mukabarat ha stretto la corda e lui ha dovuto accelerare», rivela un amico al quotidiano libanese The Daily Star. Un altro ricostruisce a La Stampa i suoi ultimi mesi: «Si sapeva che era stato messo da parte perché aveva rifiutato di eseguire un ordine durante l’assedio di Homs. Non si vedeva più in giro ed era strano per uno come lui, un compagnone con la battuta sempre pronta, un frequentatore di discoclub come il Marmar, un amante dei sigari, del pesce, del vino Tignanello, un ospite eccellente che apriva volentieri agli amici la sua casa di montagna scavata in una specie di grotta a Bloudan».
Sebbene salutata come «un buon segnale» dall’attivista di Damasco Amer al Sadeq, la fuga del Che mediorientale lascia l’opposizione contrastata. Fidarsi del pentimento tardivo del vecchio compagno d’armi di Bassel Assad (con cui condivideva la passione per le auto) passato poi al sodalizio con Bashar? Utilizzarlo come soft power contro l’hard power del regime che dopo aver denunciato gli Usa come «parte attiva nel conflitto» ha mostrato i muscoli producendosi in massicce esercitazioni della marina militare ?
«Non aveva scelta, il presidente non gli aveva perdonato d’aver partecipato al funerale di un suo servitore nella natia Rastan trasformatosi in protesta antigovernativa: Maher Assad l’aveva quasi messo agli arresti domiciliari», ricostruisce una fonte di Damasco. Il sospetto diffuso è che i Tlass, facoltosa famiglia sunnita (la sorella di Manaf, Nahed, sfoggia un collier della regina Zenobia) vogliano assicurarsi un ruolo nella futura Siria obliando la memoria del padre Moustafa, ex ministro della difesa e braccio destro di Hafez nel massacro di Hama 1982. Il bel generale, meno inviso ai siriani del fratello
Firas passato ai ribelli dopo una vita a far business con l’esercito, potrebbe garantire una rottura nella continuità quantomeno ideologica col regime, vantando credenziali antisraeliane (e antisemite?) grazie ai contatti con la destra francese di Frédéric Chatillon e all’amicizia con Thierry Meyssan (autore dell’Effroyable Imposture) e con l’antimperialista, antigay e antigiudaista Alain Soral. Risentiremo parlare presto di Manaf Tlass.
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