I ghetti dei Cie senza segreti

Dalla Rassegna stampa

Un recente provvedimento giudiziario potrebbe segnare una via per far rientrare nella legalità interna e nella norma internazionale i cosiddetti "centri di identificazione ed espulsione".

Luoghi che, a dispetto del nome rassicurante, sono a tutti gli effetti luoghi tristi di detenzione e, spesso, di odiosa repressione.

Il 2 marzo scorso, il presidente del tribunale civile di Bari, Vito Savino, ha accolto il ricorso per accertamento tecnico preventivo proposto dagli attori popolari Luigi Paccione e Alessio Carlucci e ha ordinato l'ingresso nel Cie di Bari di un perito al fine di verificare se «lo stato, la condizione, l'organizzazione del Centro di identificazione e di espulsione di Bari, puntualizzando se in base ai parametri propri della funzione a cui è adibito sia in grado di assicurare ai trattenuti necessaria assistenza e pieno rispetto della loro dignità; in caso di constatazione di negatività, evidenzi gli interventi necessari per eliminarle». Il testo integrale dell'ordinanza può essere letto sul sito www. classactionprocedimentale.it.
Questa iniziativa giudiziaria a tutela dei diritti inviolabili delle persone ristrette in un Cie è senza precedenti in Italia e, se ha avuto pieno successo contro la tenace opposizione della presidenza del consiglio dei ministri, è merito dell'associazione class action procedimentale e del genio tecnico del suo presidente, Luigi Paccione, che, forte della convinzione che la democrazia è innanzitutto procedura e rigoroso rispetto delle regole, già vanta nella sua vita professionale azioni popolari come quelle, sempre a Bari, sull'incendio del teatro Petruzzelli e contro il mostro urbanistico di Punta Perotti. Nel caso del Cie, Luigi Paccione e Alessio Carlucci sono riusciti a coniugare, innovando, metodo e merito dell'iniziativa popolare.
Il metodo della loro azione è forse il dato più interessante perché indica una via che anche il singolo cittadino elettore può seguire, quando l'autorità pubblica si dimostri inerte o inadempiente rispetto a obblighi di controllo e tutela inerenti a persone, luoghi e fatti che ricadono sotto la sua giurisdizione.

Dopo numerose iniziative parlamentari, inchieste di organizzazioni umanitarie e notizie di stampa che descrivevano una situazione intollerabile riguardo alla stessa agibilità della struttura del Cie di Bari oltre che alle condizioni di vita degli immigrati residenti, l'associazione Class action procedimentale ha innanzitutto chiesto a comune e provincia di Bari di attivarsi per verificare lo stato e la condizione del centro e, a fronte della loro inerzia, ha deciso di sostituire gli enti territoriali avviando l'azione popolare, forte di una norma di legge poco nota e praticata, ma molto efficace, in base alla quale «ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune ed alla provincia» (articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 267/2000). Infatti, secondo l'ordinanza del giudice, la «legittimazione ad agire non è soltanto di coloro che ritengono di avere direttamente subito violazioni di diritti fondamentali, ma anche degli enti territoriali (comuni e province) che da un lato rappresentano le comunità nei cui ambiti si trovano centri e trattenuti, costituenti parti integranti delle stesse comunità, dall'altro sono portatori di valori specifici coincidenti con la tutela dei diritti di coloro che dimorano nei loro territori (commi 2 e 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 267/2000)».

Il ricorso di accertamento tecnico preventivo, proposto dagli avvocati Paccione e Carlucci in quanto residenti l'uno a Bari e l'altro ad Acquaviva delle Fonti, è stato accolto dal presidente del tribunale civile che ha quindi ordinato di verificare se, nel Cie di Bari, le strutture, l'organizzazione e gestione della permanenza degli stranieri, l'indice di occupazione siano idonei ad assicurare a coloro che vi sono trattenuti necessaria assistenza e il pieno rispetto della loro dignità.
Questa verifica preliminare, che il giudice di Bari ha ritenuto tanto urgente quanto volta a modificare la condizione di vita nel Centro nonché a eliminare sollecitamente le violazioni di diritti eventualmente constatate, può portare poi, accertate le violazioni, al riconoscimento di responsabilità civili e, quindi, a richieste di risarcimento. È la via procedimentale alla class action, come emblematicamente indica il nome dell'associazione che l'ha proposta a Bari e, nel caso dei Cie, per la prima volta nel nostro paese, dove razione legale collettiva come prevista dalla legge del 2010 è solo una misera caricatura della più efficace e temibile class action di stampo anglosassone.

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