Gazebo aperti, massima allerta

Apertura ma occhi aperti. Così, in sintesi, chi sta lavorando all’allestimento delle primarie spiega il senso del riferimento bersaniano alla necessità che gli elettori dei due schieramenti scelgano il candidato che più si confà alle proprie idee, senza sconfinamenti in campo avverso. Non c’è dunque una scelta a favore del famigerato “albo” degli elettori, solo un forte richiamo alla necessità di esercitare «tutta l’allerta possibile e immaginabile» per esseri certi (diciamo, ragionevolmente certi) che il candidato alla presidenza del consiglio sia espresso solo dagli elettori di centrosinistra. Ma «senza fare gli esami del sangue » a chi vota.
Del resto, le indiscrezioni sulle regole (e sulle date) vengono derubricate a mere ipotesi. Saranno però primarie aperte e si terranno quale che sia la legge elettorale che sarà in vigore al momento delle elezioni politiche. La coalizione, se non sarà la risultante della legge elettorale, esisterà comunque. E non sono previsti sostegni a esecutivi che dovessero nascere fuori dal centrosinistra.
Primarie che qualcuno – ”Prossima Italia”, l’associazione che fa capo a Pippo Civati – pensa anche come occasione per consultare i potenziali elettori non solo sul candidato alla premiership, ma anche su questioni tematiche (fisco, ambiente, matrimoni gay, reddito minimo e incandidabilità dei condannati) o addirittura sul grado di consenso relativo a un accordo con l’Udc.
Però, qui sì, ci sarebbe un problema di collisione con le regole, dato che la politica delle alleanze fa parte della linea politica che esce dal congresso. Un po’ come – viene fatto notare al Nazareno – non si possono tenere consultazioni sulle leggi di bilancio, così non si può nemmeno mettere in discussione in maniera impropria i deliberati delle assise nazionali. Senza contare che le due consultazioni avrebbero platee diverse, perché i referendum sono concepiti come consultazione interna al solo Pd: un abbinamento con primarie aperte a tutti sarebbe oggettivamente complicato.
Ieri un sondaggio Demos dava un fixing dei candidati decisamente favorevole al segretario: 43,5 per cento contro il 27,7 di Renzi. Potrebbe aggiungersi un terzo incomodo, ma ieri da Rosy Bindi non sono venute ulteriori suggestioni sulla possibilità che nella contesa ci sia anche lei. Certo un’eventualità del genere darebbe una connotazione molto interna (più di quanto già lo sia) al voto nei gazebo, e anche se la presidente del Pd è decisamente schierata contro Renzi, la sua partecipazione costituirebbe un problema soprattutto per Bersani. Tuttavia era facile notare che quest’ipotesi non ha suscitato particolari commenti, come se venisse dato per scontato che il suo nome non comparirà sulle schede delle primarie.
D’altro canto ieri Renzi non ha fatto alcunché per accaparrarsi le simpatie dei veltroniani, attaccando con la consueta verve l’ex leader del partito, nonostante molti di loro siano orientati a sostenerlo. Evidentemente il sindaco di Firenze insiste (almeno fino a giovedì, quando nell’apertura della sua campagna elettorale a Verona è presumibile che riempia di contenuti la sua candidatura) sulla rottamazione senza se e senza ma come chiave del suo successo.
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