Galline libere, detenuti nei pollai

Dalla Rassegna stampa

Alcuni giorni fa, oltre un milione di galline ovaiole "prigioniere" in gabbie sovraffollate ben oltre i limiti di legge sono state, sequestrate dai Nas durante una serie di controlli in allevamenti del centro nord, effettuati in vista delle festività pasquali. Gabbie sovrapposte, con animali costretti a subire, le deiezioni di quelli posti in cima, con poca aria e scarso accesso al cibo, soggetti a malattie e quindi imbottiti di antibiotici con rischi anche per la salute umana. I carabinieri hanno operato nei due casi più gravi il sequestro penale delle strutture, ravvisando il reato di maltrattamento di animali.

Nel carcere di Lecce, un'altra specie animale è vittima del sovraffollamento, ma nessuno interviene per sequestrare le strutture e "liberare" i prigionieri.

Oltre 1.600 persone sono ammassate in spazi che a norma di regolamento possono ospitarne al massimo 600: il 60 per cento in più! Nei locali destinati al pernottamento, di neanche 12 metri quadrati, originariamente previsti per un solo detenuto, ne hanno sistemati tre su letti a castello fino al terzo piano dove il materasso più in alto è a 50 centimetri dal soffitto. Tolto lo spazio occupato da servizi igienici, letto e suppellettili, a ogni detenuto resta una superficie media di appena 1,75 metri quadrati di spazio calpestabile. Può muoversi per la cella solo quando gli altri due sono stesi sul letto. I servizi igienici, privi di acqua, calda e di doccia, sono collocati in un piccolo vano cieco annesso alla cella, che finge anche da cucinino dove preparare o riscaldare il cibo. L'acqua va e viene, soprattutto d'estate. Di notte salta, per molte ore, l'energia elettrica. Il riscaldamento funziona d'inverno un'ora, al giorno. Sulle terrazze dei padiglioni e sulle reti di protezione dei passeggi sono depositati abbondante spazzatura e uno strato di guano rilasciato da piccioni, gabbiani e altre specie, di volatili, comprese le loro carcasse.

Nella triste classifica nazionale del “sovraffollamento carcerario”, la Puglia è ai primi posti. Alla fine di marzo, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.449, quasi 2.000 oltre la "capienza regolamentare" e 600 in più anche di quella "tollerabile"... Tollerabile per chi, non si sa: forse per il ministero, non certo per gli operatori penitenziari e tanto meno per i detenuti, come quei dodici che nell'ultimo anno (dal 2010 al 7 aprile 2011) si sono tolti la vita o sono morti per "cause naturali" o "per cause da accertare".

Se nel carcere di Lecce i detenuti stanno letteralmente come "manco li cani" (detto alla salentina), in quello di Bari muoiono come cani. Il 31 gennaio, dopo una lunga malattia, Cosimo Manca si è spento in una cella all'età di 54 anni e quando mancavano esattamente due anni alla fine di una, pena, di dieci anni. I parenti del detenuto hanno denunciato il fatto che, «nonostante l'evidenza delle patologie che lo avevano reso, tra l'altro, quasi completamente cieco e incapace a, deambulare autonomamente», al loro caro era stata negata la sospensione della pena per motivi di salute e anche la detenzione domiciliare. È rimasto fino alla morte nel carcere di Bari «senza alcuna cura effettiva, e senza che gli venissero forniti i mezzi minimi per una dignitosa terapia medica che, se tempestiva, avrebbe potuto salvargli la vita».

Il 7 aprile scorso, sempre a Bari, Carlo Saturno è morto nel reparto di rianimazione del policlinico. Una settimana prima, era stato trovato appeso a un lenzuolo nella sua cella del carcere. Il ragazzo di 22 anni era detenuto per furto, ma era anche parte civile nel processo in corso davanti al Tribunale di Lecce contro nove poliziotti del carcere minorile, accusati di aver compiuto violenze sui detenuti tra il 2003 e il 2005. Carlo, che all'epoca aveva 16 anni, sarebbe stato vittima, assieme ad altri ragazzi, di vere e proprie sevizie.

Non c'è mai nulla di "naturale" nelle morti in carcere. Esse sono il frutto della malagiustizia e della malaprigione che connotano l'Italia, per questo pluricondannata ogni anno dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo in base alla Convenzione sui diritti umani che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti.

Le condizioni di detenzione nel nostro paese costituiscono un dato strutturale di tortura, ragion per cui, forse, non è ancora stato introdotto nel nostro codice penale il relativo reato. Suicidi o presunti tali, omicidi veri e propri, malattie "curate" in carcere fino allo stadio terminale, descrivono una realtà di pena di morte di fatto vigente in Italia, con buona pace dell'impegno italiano contro la pena capitale che sta nei nostri pensieri ormai solo come un fatto esotico. Per non dire poi delle pene fino alla morte, quali tecnicamente sono l'ergastolo ostativo inflitto ai detenuti del 41 bis e l'ergastolo bianco a cui sono condannati gli "internati" sottoposti alle misure di sicurezza, su cui sono tutti allineati e coperti, a destra come a sinistra.

Eccezion fatta per noi Radicali e pochissimi altri, non v'è nessuno che si occupi di istituire nel nostro paese il Commissario Nazionale per i diritti umani. Nessuno che si preoccupi del fatto che in Italia si contano sulle dita di una mano i Garanti regionali delle persone private della libertà. Neanche la Puglia di Nichi Vendola, con il suo infelice primato di sovraffollamento e morti in carcere, ha il suo Garante, nonostante siano passati ormai cinque anni dalla legge istitutiva.

Non sarà la soluzione a tutti i problemi del carcere, ma un possibile argine agli abusi del potere e un punto di riferimento per gli abbandonati, di soccorso per gli smarriti, di tutela per i non garantiti e di speranza per i disperati, il Garante potrebbe esserlo, al servizio non solo dei detenuti ma, secondo la nostra impostazione, anche di tutti gli altri componenti la comunità penitenziaria, vittime tutti e ciascuno - della stessa catastrofe umanitaria e della ordinaria illegalità, carceraria e non, che vige nel nostro paese.

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