Galan: «Aggrediti dai libici»

Dalla Rassegna stampa

Le chiacchiere sulle mitragliate libiche contro un peschereccio italiano, a largo del golfo di Sirte (e sotto gli occhi della Guardia di Finanza imbarcata sul mezzo di Tripoli) stanno a zero. O meglio, a tre. Quante le versioni fornite dal Governo. C'è la tesi del ministro dell'Interno Roberto Maroni: «Immaginavano che la barca potesse avere a bordo clandestini». Il capo della Farnesina Franco Frattini se la prende con i pescatori: «Sapevano di pescare illegalmente». E poi c'è il ministro dell'Agricoltura Giancarlo Galan che smentisce entrambi: «Un fatto gravissimo accaduto in acque internazionali». Galan si rifiuta di archiviare il caso come un'incidente di percorso che non deve intaccare le relazioni tra l'Italia e la Libia: «E ammissibile che un'unità militare libica spari ad altezza uomo su un nostro peschereccio? È incomprensibile e inaccettabile. E poi attendiamo di sapere come mai c'era del personale italiano a bordo della motovedetta. Una situazione inqualificabile. E ammettiamo pure che il peschereccio forse un barcone di immigrati: che facevano? Gli sparavano addosso?». In effetti, il pensiero fa accapponare la pelle. «Soprattutto perché tutto questo accade in acque internazionali - insiste il ministro - La Libia continua a ripetere che l'intero Golfo di Sirte è di sua pertinenza. E ha torto. Ma questa è materia che compete alla Farnesina». Però, quando si parla di pesca, la competenza non è di Frattini, bensì di Galan. E se il ministro degli Esteri ieri ha spiegato che da un anno va avanti un negoziato «per definire un accordo di pesca italo-libico», Galan è entrato nel merito della questione sulla quale gli uomini di Gheddafi sembrano fare orecchie da mercante. «È vero che nell'ambito del Trattato d'amicizia con la Libia c'è un paragrafo sulla pesca. Come è vero che l'Italia fa parte dell'Unione europea e, dunque, non può fare da sola accordi sulla pesca con paesi terzi. Non se se è chiaro a tutti, ma queste sono le regole».
Il ministro conferma che a ottobre ci sarà un ulteriore incontro con le autorità di Tripoli per discutere la questione: «Spiegheremo le nostre ragioni e i limiti della nostra azione. La verità è che possiamo solamente facilitare accordi fra gruppi privati, fra i consorzi di pesca e la Libia, per esempio, così come abbiamo fatto con l'Egitto». Ma la Libia, sul punto, fa orecchie da mercante. Nel vero senso della parola. «Finora le pretese di Tripoli, in termini economici, sono molto elevate - precisa Galan, scoprendo un'altra voce del bancomat italiano del rais libico - Si può lavorare per trovare un accordo, ma di sicuro l'Italia non può dare danaro a chicchessia, per favorire l'attività della pesca in uno specifico settore. Si configurerebbe l'ipotesi degli aiuti di Stato e noi rischieremmo di essere sanzionati dalla Ue».
Un atteggiamento incomprensibile per il responsabile dell'Agricoltura, «tanto più tra due paesi che faticosamente quanto decisamente cercano di stipulare accordi economici», e soprattutto perché la questione dei pescherecci nel Golfo di Sirte sembra l'ennesimo pretesto per fare pressione sulla comunità internazionale. «Non so davvero quanto in realtà interessi la pesca ai libici. Credo poco, sono convinto che pensino a ben altro», conclude Galan. E non ha tutti i torti quando parla di altre interessi libici sul golfo di Sirte, visto che Gheddafi ha appena concluso con British Petroleum un accordo che autorizza il gigante petrolifero britannico a trivellare i fondali del Golfo di Sirte, più in profondità di quanto non abbia già fatto nel Golfo del Messico dove ha firmato un disastro ambientale senza precedenti.
Un accordo che ha preoccupato non poco i Paesi rivieraschi, Italia compresa, ma su cui il Governo nostrano preferisce non accendere i riflettori. Dopo i colpi sparati dalla motovedetta (su cui indaga anche la procura di Agrigento), però, l'esecutivo dovrà pur fornire qualche spiegazione sull'intera partita libica. Casomai già oggi, nell'aula di Montecitorio, rispondendo al primo question time alla ripresa dei lavori parlamentari, come ha chiesto il deputato radicale del Pd Matteo Mecacci. Di certo, l'episodio di Sirte non favorisce la tenuta della maggioranza, ora sotto una gragnuola di accuse. Prima fra tutte, quella pronunciata dalla Cei per bocca del vescovo di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero (lo stesso che è stato prima invitato e poi snobbato da Gheddafi nelle sue "vacanze romane" di fine agosto), che presiede anche il consiglio della Conferenza episcopale per gli affari giuridici: «Sono episodi che si ripetono e la preoccupazione a Mazara e grande, perché si vede soprattutto l'assenza di un'azione politica a livello nazionale e internazionale che affronti finalmente nelle sedi dovute questo problema ormai spinoso». Parole cui la Farnesina non ha replicato, ma che secondo il vicepresidente dei deputati pol Osvaldo Napoli sarebbero state pronunciate da Mogavero nella sua qualità di vescovo e non come esponente della Cei che «come già altre volte accadde con monsignor Marchetto, ha tutt'altra sensibilità sull'episodio specifico». Sempre che la maggioranza trovi una versione univoca su quanto accaduto in mare aperto.

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