Il futuro del premier rimane un'incognita

In un inciso della conferenza stampa al termine dell’Ecofin che ha confermato la scelta del fondo salva-spread, Monti ha confermato che non intende candidarsi a succedere a se stesso in vista delle elezioni del 2013. Lo aveva già detto e ripetuto in varie occasioni, ma ha ritenuto di ribadirlo per fermare il chiacchiericcio nato a proposito delle sue precedenti dichiarazioni sulla nocività, per l’Italia, dello stato di incertezza in cui versano partiti e politica.
L’idea di una candidatura di Monti entrerebbe in collisione con il ruolo tecnico che il presidente del consiglio s’è dato, al momento in cui ha formato il suo “strano” governo. Monti s’è messo a disposizione di un largo cartello di partiti che volevano fosse esplicito il carattere di emergenza del loro accordo, ferma restando la certezza di ritrovarsi avversari nella successiva campagna elettorale.
Nello stesso tempo Monti è consapevole che molto difficilmente la crisi dell’area euro potrà essere risolta in meno di un anno, e che l’affidabilità di cui l’Italia ha goduto fin qui in Europa, malgrado le condizioni gravissime in cui versa e gli spread altissimi che non riesce a domare, è dovuta alla sua credibilità personale nell’Unione e alle misure drastiche che è riuscito ad imporre, malgrado forti resistenze interne.
Di qui la possibilità che, al di là delle sue intenzioni, Monti possa essere richiamato in servizio, o addirittura continuare a guidare il governo nel 2013 senza soluzione di continuità. Sono in molti a pensarlo o a temerlo, anche se non si pronunciano esplicitamente. Qualcuno, come il capogruppo del Pd Franceschini, ha evocato il precedente di Ciampi, che guidò un governo tecnico-politico alla fine della Prima Repubblica, poi fu ministro dell’Economia con Prodi e condusse il Paese all’ingresso nell’Eurozona. Difficilmente però Monti potrebbe seguire lo stesso percorso, entrando in un governo sostenuto da una coalizione politica di centrosinistra, e con il centrodestra all’opposizione, o viceversa.
Solo Berlusconi finora si è spinto a prefigurare una riproposizione del governo a larga maggioranza dopo il voto. Ma per arrivarci occorrerebbe, al minimo, una nuova legge elettorale proporzionale, che renda superflue le coalizioni, riproponga la competizione diretta tra partiti e non tra alleanze, e faccia sì che chi vince, alla fine, vinca solo un po’, ed abbia bisogno degli altri per governare. È esattamente il punto su cui i partiti si sono nuovamente bloccati. Anche per questo è assolutamente prematuro parlare oggi del futuro di Monti.
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