Fuggire dal fango riscoprendo Sciascia

Dalla Rassegna stampa

 

Vent'anni dopo
Sguardo ad alcuni titoli d'apertura - due di essi praticamente fotocopia: «Ecco le vere fabbriche del fango» (il Giornale); «I professionisti del fango. Ecco chi fabbrica dossier» (Libero) - e ricerca immediata d' un qualche rifugio. Già aiuta Rino Formica che, in una lettera al Foglio ragiona sulle differenze tra i dossieraggi nella prima e nella seconda repubblica (con stoccata all americanismo). Ma aiutano ancora di più a riflettere due recensioni all'ultimo libro di Emanuele Macaluso - Leonardo Sciascia e i comunisti (Feltrinelli).
La prima è firmata da Marcello Sorgi su La Stampa: «Sciascia è diventato un classico, e tutte le sfaccettature della sua complessa personalità artistica, letteraria, intellettuale, sono state ormai sviscerate. Mancava, invece, un'analisi dello Sciascia politico, non solo del- la sua breve esperienza parlamentare alla camera con i radicali nel periodo 1979-'83, ma dell aspetto propriamente e politicamente incisivo della sua opera, in rapporto alla sinistra italiana e in particolare al Pci».
Lo ha fatto Macaluso - «con una tesi che farà nuovamente discutere», sottolinea Sorgi - basandosi sull'amicizia, la conoscenza e la conterraneità durate per quasi mezzo secolo con lo scrittore «mai comunista, ma sempre vicino e litigioso con il Pci» morto nel 1989. La tesi è che «Sciascia, pur animato da sincera passione civile, fosse in realtà un impolitico. E che in questa chiave si possano spiegare anche le molte illusioni, e le troppe e repentine delusioni, a cui andò incontro». Ma il tema, che vale per l'oggi, è la polemica dell'ultimo Sciascia sui «professionisti dell'Antimafia» che procurò allo scrittore «nuovi durissimi attacchi non solo da sinistra, ma dalla parte più militante dei giornalisti, degli intellettuali e della società civile, nonché dai comitati antimafia, da cui il Pci non volle mai prendere le distanze per difenderlo».
Macaluso descrive un partito ingessato dalla necessità di «non delegittimare la magistratura», «incapace di sviluppare una sua posizione autonoma sui lati oscuri e sugli eccessi del pentitismo». Dopo vent'anni, sottolinea Macaluso, «perché la sinistra non prova a riscoprire Sciascia, sottraendolo all'ingiusta appropriazione che ne sta consumando la destra?».
Il garantismo non è ad personam
Contro tale (indebita) appropriazione Francesco Merlo su Repubblica: «Anche Macaluso rimane tramortito ogni volta che il ministro Alfano, aprendo o chiudendo un solenne seminario, lancia una bombetta puzzolente, come di recente ha fatto a Racalmuto: «Dio solo sa come 1 Italia e la Sicilia avrebbero bisogno dell'autore del Giorno della civetta».
Sono sempre di più i convegni (a destra) che «rivelano di ispirarsi al garantismo di Sciascia che, statua dentro una santa nicchia, benedice questa rovina. Ma è una malefatta per tutti noi prima ancora che per la memoria di Sciascia, per la sua grandezza di scrittore e per il suo impegno civile, per i fantasmi illuministi che abitano la sua stanza-museo alla Noce, per la Critica della ragion pura che Sciascia usò sempre per fare "abballari la gran surdana" al potere. Sempre all'opposizione. E sempre a sinistra, anche quando si fece radicale, che fu la sua stagione più felice, quella in cui scopri le radici, e sempre mettendo l'etica al primo posto, sacerdote della forma e della regola perché come ricorda Macaluso "anche rileggendo I professionisti dell'antimafia chiara e indiscutibile è l'avversione radicale a leggi o ad atti amministrativi ad personam fatti anche con le migliori intenzioni"». Dalla Sicilia (autori e recensori) all'Italia. Una boccata d'ossigeno.

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