Fuga di notizie a Palermo: l'ex pm indica Mancino

Dalla Rassegna stampa

L'ha detto a Ballarò, rispondendo al conduttore Giovanni Floris. Lo ha spiegato ieri a Radio Radicale in un'intervista dell'ex direttore Massimo Bordin. Antonio Ingroia, quand'era titolare dell'inchiesta sulla «trattativa Stato-mafia» ha ascoltato le telefonate intercettate dalla procura di Palermo fra Napolitano e l'ex ministro Mancino. I nastri che poi la Consulta ha stabilito che andranno distrutti. «Ci mancherebbe che quelle telefonate non fossero state ascoltate», spiega Ingroia a Bordin. «Intanto per accertare chi fossero gli interlocutori. Per questo abbiamo fatto le considerazioni note sul fatto che erano del tutto irrilevanti, come abbiamo detto più volte in atti formali e anche in dichiarazioni». «Non erano telefonate qualsiasi. Erano telefonate del capo dello stato con uno dei nostri indagati. (Ascoltarle, ndr) era il minimo che potesse fare un pubblico ministero accorto», risponde Ingroia. Anche se Mancino, ammette, all'epoca delle intercettazioni «non era indagato». Bordin chiede da chi, a parere dell'ex pm, è partita la fuga di notizie sul fatto che «la voce del presidente della Repubblica fosse nelle cassaforti della procura, pubblicata da Panorama e dal Fatto nell'agosto del 2012. «L'esistenza di quelle telefonate la conosceva non solo chi intercettava ma anche chi parlava per telefono». «Quindi lei dice che glielo può aver detto Mancino. Sfugge il senso», insiste l'intervistatore, «Mancino non ha fatto una gran figura». «No, il senso non sfugge», è la risposta, «Se tu vuoi creare un polverone per poter scatenare qualcosa contro l'ufficio che ti sta indagando non c'è sistema migliore».

 

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