I frutti della Primavera araba e degli aiuti degli Stati Uniti

Dalla Rassegna stampa

Ormai è globale: la rivolta islamica contro gli Stati Uniti sta dilagando in tutti i Paesi musulmani. Proprio a partire da quelli emersi dalla Primavera Araba. Il tutto per un video amatoriale (quasi del tutto sconosciuto fino all’altro ieri) considerato “blasfemo”. Dopo gli assalti alle sedi diplomatiche Usa al Cairo e a Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia, le violenze sono addirittura aumentate: Yemen, Marocco, Tunisia, Iran, Bangladesh, Iraq e Sudan sono in sommossa.

Ovunque vengono assaltate le sedi diplomatiche e bruciate le bandiere a stelle e strisce. A Sanaa (capitale dello Yemen), una folla aizzata dai radicali islamici ha attaccato l’ambasciata. La polizia ha sparato in aria, ma non ha impedito alla massa degli assalitori di arrivare sin dentro sede diplomatica, dove alcune auto del personale sono state date alle fiamme. Anche a Sanaa (come al Cairo l’11 settembre), la bandiera americana è stata ammainata e sostituita con il vessillo nero della Jihad. Solo successivamente la polizia è riuscita a disperdere la folla. Lo Yemen si è recentemente liberato del suo dittatore, Alì Abdullah Saleh, grazie all’intervento politico americano.

Al Cairo, lungi dall’essersi placata, la rivolta è scoppiata di nuovo, anche ieri. La polizia ha reagito e il bilancio è di 16 dimostranti e 2 poliziotti feriti. L’Egitto si è liberato del suo dittatore, Hosni Mubarak, grazie all’intervento politico americano. Il nuovo presidente, Mohammed Morsi, che sta trattando con gli Usa per un prestito da 1 miliardo di dollari, più che condannare le violenze, ha stigmatizzato un video “blasfemo” apparso su YouTube, preso a pretesto per l’ondata di odio anti-Usa. Il primo ministro, Hisham Kandil, ha lanciato una minaccia velata agli Stati Uniti, “chiedendo” al governo di Washington di condannare il video “blasfemo”. In Iraq, sia a Baghdad che a Bassora, i radicali islamici sono scesi in massa in piazza. Una milizia sciita ha avvertito che il video “blasfemo” metterà a rischio gli interessi americani: è un palese annuncio per prossimi attentati.

L’Iraq si è liberato del suo dittatore, Saddam Hussein, grazie all’intervento militare anglo-americano nel 2003, ben prima della Primavera Araba. In Tunisia, sommosse anti-americane hanno portato a scontri con la polizia a Tunisi, El Aounia e Cartagine. La Tunisia si è liberata del suo dittatore, Ben Alì, col beneplacito degli Stati Uniti. Altre violenze sono scoppiate in Marocco (Paese “moderato e alleato degli Usa) e stanno montando in Afghanistan (liberato dal regime talebano nel 2001, grazie all’intervento militare degli Usa) e in Pakistan (alleato degli Usa e beneficiario di generosi aiuti militari americani)

Di fronte a questo improvviso incendio islamico autunnale, l’amministrazione Obama ha inviato due navi da guerra e una squadra speciale di marine in Libia (ad ambasciatore già morto). Un team di esperti sta investigando su chi possa aver organizzato l’assalto al consolato di Bengasi. Per precauzione, l’ambasciata americana a Berlino, nel cuore dell’Europa, è stata evacuata per un allarme bomba. La Clinton ha condannato il video “blasfemo”.

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