Fronte interno sì con riserva

Dalla Rassegna stampa

L'Italia di Monti cammina lungo un crinale sempre più sottile. Lo fa con dignità e determinazione, ma nessuno può sapere cosa accadrà nelle prossime ore a Bruxelles. Si delinea un fine settimana terribile, le cui premesse sono tutte negative; talmente negative da lasciare un'unica speranza: che alla fine persino l'eventuale topolino partorito dalla montagna europea sembrerà buona cosa perché sarà pur sempre meglio di niente.

Il presidente del Consiglio si presenterà davanti ai partner dell'Unione forte, si può dire, del sostegno parlamentare. La non-maggioranza che regge il governo ancora una volta si materializza sul piano formale ed è quello di cui in questo momento il premier ha un drammatico bisogno.
Ma dietro le quinte il bizzarro equilibrio che tiene in piedi il governo tecnico sembra sfilacciato ed esausto.
C'è una doppia verità: quella parlamentare e quella politica. Sul piano parlamentare i voti non mancano, come si è visto anche con la fiducia sulla riforma del lavoro. Ma sul piano politico, nel rapporto con un'opinione pubblica incerta e timorosa, si vedono tutti i limiti di un patto di governo poco convinto e sempre più friabile. Il problema, è chiaro, riguarda oggi soprattutto il Pdl, il fronte berlusconiano prigioniero del suo psicodramma e in perdita costante di consensi.

È vero però che Berlusconi, nonostante tutto, non è uomo di colpi di testa. Sa valutare tutti i risvolti delle sue azioni. Il colloquio con Monti non è stato risolutivo, né poteva esserlo. Forse quella frase sull'«indeterminatezza totale» si riferiva allo stato dell'Unione, come l'ha intesa il premier, ma non è certo il viatico migliore per il governo italiano che si accinge a un negoziato quasi impossibile. Berlusconi ha l'atteggiamento di chi dice «saprei io come fare con la Merkel» e tutto sommato sembra augurarsi il fallimento del vertice o la sconfitta personale di Monti. Al tempo stesso si guarda bene dall'assumersi una responsabilità diretta. Al contrario, dice ai suoi: «Se passa l'idea che siamo stati noi a far cadere il governo, sarebbe una catastrofe». E in questo dimostra il realismo di cui certi suoi sostenitori sono sprovvisti.
A questo punto l'equazione non cambia. Il Parlamento ascolta il presidente del Consiglio parlare con toni accorati; probabilmente avverte la gravità dell'ora e non nega l'appoggio minimo che si deve riconoscere al rappresentante dell'Italia nell'ora cruciale. Però le riserve mentali rimangono tutte lì, persino aumentate. Sono in tanti a sperare che il castello del governo tecnico precipiti sotto il peso di un compito troppo gravoso. Un collasso che eviterebbe ai partiti, in particolare al Pdl, di esporsi con l'opinione pubblica.

Ma non si riesce a individuare la logica di una posizione che si può riassumere così: Monti va a Bruxelles e negozia senza risparmio; se però non ottiene nulla e rientra in Italia a mani vuote, allora il governo deve essere accantonato e l'Italia correrà al voto anticipato. Più che elezioni, sarebbero una fuga nell'abisso, visto che mancano idee, programmi, classi dirigenti, soluzioni alternative. Elezioni in questa chiave illogica darebbero spazio a tutte le posizioni anti-euro: quelle dei populisti alla Grillo, ma anche dei suoi imitatori. Non per niente Berlusconi sta abbracciando la linea dura anti-europea, che forse porta qualche voto, ma di sicuro è distruttiva per il domani dell'Italia.
Sarebbe molto più comprensibile se i partiti della non-maggioranza dessero vita a un patto politico a sostegno di Monti, sì, ma soprattutto della sua proiezione europea. Poi a gestire tale linea potrà essere ancora l'attuale premier oppure un altra figura scaturita dall'intesa. E su questa piattaforma si potrebbero fare le elezioni all'inizio del 2013. Viceversa, nello squilibrio quotidiano, l'equivoco del governo tecnico comincia a essere insostenibile. Ci arriveremo, a una soluzione di buon senso? Difficile dirlo. L'avvicinamento fra Bersani e Casini va in tale direzione, mentre il centrodestra si allontana. E questo, se da un lato offre l'indicazione di una maggioranza politica, dall'altra non risolve alla radice il problema italiano. Che consiste nella mancanza di una coesione di fondo larga e convinta, adeguata alla gravità dell'emergenza.

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