La Francia socialista manda a casa i rom

Associazioni e formazioni politiche dell’estrema sinistra si sarebbero aspettati tutti una marcia indietro. E invece no, il governo Ayrault e il suo ministro socialista dell’interno Manuel Valls sono andati avanti spediti con gli sgomberi dei tanti campi Rom illegali del paese. I Crs, i reparti di cellerini, hanno cominciato di buona lena già lunedì, quando un centinaio di persone sono state espulse da un accampamento in Vaulx-en-Velin, nel centro del paese. Martedì si è continuato nella capitale, nel XIX arrondissement, dove un altro centinaio di rom è stato evacuato, e martedì si è passati alla cintura periferica, a Villeurbane, dove novanta persone che vivevano in vecchi garage abbandonati sono state smobilitate dalla polizia. Ieri, infine, l’azione forse più consistente, con uno sgomebero di circa duecento persone dai due campi abusivi di Lille, nel Nord, al confine con il Belgio.
Destinazione finale, il rimpatrio via aereo in Romania, paese d’origine, previsto già nei prossimi giorni, mentre altri provvedimenti di espulsione aspettano di passare alla fase esecutiva per metà settembre. La protesta delle associazioni è forse meno consistente dello stupore, visto che tutti si aspettavano dall’arrivo al potere della sinistra un cambio di rotta e una moratoria su provvedimenti voluti con gran forza dal precedente governo e dalla destra di Nicolas Sarkozy. Lo stesso Manuel Valls in un primo tempo aveva creato aspettative non trascurabili: il suo primo provvedimento dopo la nomina al ministero era stato il licenziamento in tronco del prefetto di Parigi, Michel Gaudin.
Insediatosi nel lontano 2007, Gaudin era non solo molto vicino all’ex presidente, ma anche ispiratore di dimostrazioni di forza spettacolari nella capitale, con il pattugliamento regolare dei quartieri sensibili e unità speciali in assetto di guerra. Lo stesso Valls, poi, aveva lasciato ben sperare, parlando degli eccessi e delle continue sbavature delle forze dell’ordine ai danni di cittadini di origini magrebina o africana, e proponendo l’introduzione di una ricevuta a ogni controllo dei documenti per poter valutare la dimensione degli abusi e della persecuzione degli immigrati.
E invece no. Di fronte alle proteste, il ministro ha ribadito la sua determinazione ad andare avanti con le espulsioni decise dal governo precedente, promettendo che le azioni in corso sono solo l’inizio. «Questi campi – ha dichiarato ieri – presentano enormi problemi di sicurezza. A parte le tensioni con i vicini, non è comunque possibile lasciare che centinaia di persone per procurarsi l’acqua si debbano attaccare abusivamente agli idranti antifuoco e di notte usare le candele per avere luce. Le condizioni di vita sono talmente inaccettabili che abbiamo registrato un ritorno della turbercolosi».
Dichiarazioni che, dopo le aperture in campagna elettorale al diritto di voto per gli immigrati residenti da almeno cinque anni o dopo le promesse di nuove case popolari, anche per i rom, sembrano a molti un voltafaccia. In realtà la posizione socialista è stata coerente sin dall’inizio e la politica del governo Ayrault sull’argomento è chiara, somiglia per molti versi a quella seguita a suo tempo dai socialisti spagnoli di José Louìs Zapatero. Grande scandalo, infatti, avevano destato all’epoca le misure durissime decise da Madrid contro i clandestini, proteste feroci da parte delle associazioni arrivarono nell’ottobre del 2005 anche in Italia quando agenti dell’esercito spararono su alcune persone che tentavano di introdursi illegalmente a Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in teritorio marocchino.
I morti furono cinque e pressioni arrivarono anche al governo Prodi perché protestasse presso l’ambasciatore spagnolo a Roma. A chiarire la linea e la filosofia del governo, ci pensò lo stesso Zapatero in una lunga dichiarazione dove spiegò come «l’immigrazione legale va aiutata perché è un bene per il sistema economico. Coloro che entrano legalmente vanno quindi inseriti nel migliore dei modi. Quella clandestina, invece, va combattuta con durezza perché è dannosa e alimenta il mercato indecente di mafie e organizzazioni criminali». Diritti per l’immigrazione che vive nel rispetto delle regole e pugno duro verso la clandestinità era quindi la filosofia ultrarepubblicana di Zapatero ed è ,anche oggi, quella del governo Ayrault.
Esattamente il contrario da quanto perseguito in Italia. Dove, a differenza da quanto succede in Francia, non sono previsti uffici di collocamento presso i consolati o forme di reclutamento legale del lavoro all’estero e si permette il rilascio del permesso di soggiorno solo una volta che sia avvenuta la stipula di un contratto, senza curarsi di come imprenditore e lavoratore siano mai venuti in contatto. In Italia, cioè, si condannano di fatto gli immigrati a un primo periodo di clandestinità per poter trovare un posto di lavoro che apra la prospettiva di una permanenza nella legalità e per questo si rischia di non comprendere il radicalismo di governi di sinistra come quello Zapatero e Ayrault.
Nettamente diversa, invece, è la situazione in Francia, dove, volendo mantenere meccanismi virtuosi, garanzie e diritti messi a rischio dal mancato rispetto delle regole e dal proliferare della criminalità, i socialisti ricorrono ora al pugno duro contro la clandestinità.
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