La via (fraintesa) della pacificazione

Dalla Rassegna stampa

Traditore! È un'esclamazione che non è mai passata di moda, ma che sembra essere ritornata in auge proprio in queste ultime settimane o giorni. Ciclicamente ritorna. Ora, viene agitata nei confronti di Marco Pannella per il suo "dialogo" con l'attuale governo. È necessario, perciò, fare un passo indietro per comprendere il filo storico che può permetterci di capire meglio il senso di un percorso che avanza non per tradimenti ma, attraverso l'etimologia della parola, per traduzioni, cioè muovendosi contro tutti i trasformismi, i conformismi, le ipocrisie. In politica, infatti, è necessario tradurre, cioè trasformare, altrimenti si resta impantanati nel potere fine a se stesso, nella logica della "fermezza", dell'immobilismo, dell'inganno e, ancor peggio, dell'auto-inganno. Chi tradisce inganna se stesso. E Pannella non si sta ingannando.
 
I Radicali hanno tenuto aperto un dialogo con Silvio Berlusconi perché, da sempre, sentono l'urgenza di evitare pericolose catastrofi istituzionali che segnerebbero in modo grave e dilaniante le sorti della politica italiana, della legalità, della democrazia, della libertà, dello Stato di diritto. La partitocrazia, infatti, ha già indicato le sue probabili soluzioni che, però, non risolvono: o andare al voto anticipato con questa "porcata" di legge elettorale oppure istituire una sorta di "unità nazionale" come ai tempi del "compromesso storico". Pannella ha voluto dire di no ad entrambe le prospettive illiberali e liberticide che si stanno preparando: "Il vero problema non è le dimissioni o no, il problema è, se lui si dimette a questo punto cosa succede? Si va a votare con una legge ettorale infame, che fa un Parlamento nuovo nominato". Pannella pensa al dopo, lavora per il dopo, vuole provocare un esito diverso, democratico, liberale, riformatore. Del resto, Marco lo ha detto chiaramente e lo ha ripetuto più volte, il suo tentativo è quello di costruire vie di uscita "altre" rispetto a quelle prospettate dal Potere trasversale. E ha ribadito che "si sta facendo di tutto da parte della destra e certo anche da parte della sinistra di regime per ottenere un solo risultato: andare alle elezioni anticipate con l'attuale infame legge elettorale, eliminando Silvio Berlusconi come ormai inadeguato a garantire questo indegno regime partitocratico. Per questo, e lo noto en passant, Pier Luigi Bersani riscopre la Lega, come già Massimo D'Alema, arrivando a considerarli una desiderabile costola della sinistra italiana".
 
Traditore! Si ripete da più parti. È necessario, allora, fare un passo indietro nel tempo. Occorre fare chiarezza. Oggi, in Italia, ci sono ostacoli enormi che impediscono e intralciano la possibilità di conoscenza da parte dei cittadini. Senza informazione, discussione, dialogo, conoscenza e circolazione delle idee non vi può essere democrazia. È per questa ragione che, giustamente e comprensibilmente, i cittadini preferiscono distaccarsi dalla politica e allontanarsi da questa non-democrazia in cui ci ritroviamo a vivere. Di conseguenza, c'è sempre qualcuno che grida: traditore! È la sindrome di Palazzo Barberini. Nel gennaio del 1947, infatti, il socialista e democratico Giuseppe Saragat diede vita alla cosiddetta "scissione di palazzo Barberini" scatenando le dure invettive di Pietro Nenni e di Palmiro Togliatti contro questi "traditori". La scissione costò al PSIUP di Nenni la trasmigrazione di 50 parlamentari socialisti nel nuovo partito e di una folta schiera di dirigenti ed intellettuali fra cui Treves, D'Aragona e Modigliani. Il PSIUP, guidato da Nenni, per evitare di essere anticipato da Saragat, decise di riprendere il vecchio nome di partito Socialista Italiano. Nel mese di dicembre dello stesso anno, socialdemocratici e repubblicani, tramite un rimpasto governativo, entrarono nel IV Governo De Gasperi. In una coalizione centrista, a guida DC, in cui vi era anche il PLI. In questo governo, Saragat ottenne il titolo di Vicepresidente del Consiglio dei ministri: il PSI ed il PCI, presenti nel precedente governo, finirono esclusi e all'opposizione. Era la prima volta dalla Costituzione della Repubblica Italiana. Insomma, c'è stato un periodo, nella storia della Repubblica italiana, in cui essere vicino alla politica e alle scelte di Saragat significava essere considerati dei pericolosi traditori. Si era indicati come dei "social-fascisti". Forse anche peggio che fascisti. E cosi, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, che nel 1951 divenne Partito Socialista Democratico Italiano, in seguito alla fusione con il nuovo Partito Socialista Unitario di Giuseppe Romita, si ritrovò ad essere il bersaglio preferito di tutti gli attacchi strumentali della sinistra più ideologica e fanatica. C'è stato un lungo periodo, in cui scegliere di stare con i socialdemocratici di Palazzo Barberini significava compiere un vero e proprio atto di coraggio perché si rischiava di essere aggrediti, minacciati, emarginati. Stare dalla parte di Saragat voleva dire essere disprezzati aspramente da una certa sinistra massimalista ed estremista. Chi si schierava con Saragat veniva chiamato traditore, "social-traditore" oppure, nel migliore dei casi, "rinnegato". Nelle elezioni politiche del 1948, ad appesantire il clima, ci fu la scelta dei socialdemocratici (allora Psli) di allearsi con Alcide De Gasperi in una coalizione alternativa a quella del Fronte Democratico Popolare, cioè Saragat si pose in contrapposizione all'alleanza social-comunista. A distanza di anni, fu Bettino Craxi che, da segretario del Psi, rivalutò appieno la figura del leader socialdemocratico ammettendo che "aveva ragione Saragat". Come pure ha fatto lo stesso Claudio Martelli che, in più occasioni, anche negli ultimi anni, ha indicato la visione politica di Saragat come "davvero moderna e lungimirante" e ha definito "la sua azione politica risoluta, talvolta determinante per le sorti della democrazia italiana" anche perché le sue scelte "si stagliano nelle burrasche e nelle viltà di un secolo con il profilo di un roccioso coraggio". Traditore!

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