Fondazioni, Tremonti in campo. E rispunta il patto segreto del 2001

C’è qualcosa di Bossi quando Tremonti parla di politica e c’è molto di Tremonti quando Bossi parla di economia. Perciò la sortita del Senatur - «ora ci saranno nostri uomini nelle banche del Nord» - non solo conferma quanto sia forte l’asse tra il leader della Lega e il ministro dell’Economia, ma rivela anche l’intenzione di portare a compimento un’antica, comune strategia, impostata ormai dieci anni fa. Infatti ieri Bossi non ha fatto che rilanciare un vecchio progetto, con l’obiettivo di prendersi una rivincita rispetto ai tentativi andati a vuoto tra il 2001 e il 2006: dal fallimento della banca «leghista» Credieuronord, alla mancata riforma delle fondazioni bancarie.
Sono dieci anni che il capo del Carroccio accarezza il sogno, da quando Tremonti gli spiegò che «non basta il successo nelle urne, se poi non si sconfigge la legge della "mano morta"». Per incidere e contare sul territorio, insomma, non era (non è) sufficiente contare i voti alle elezioni. Era la riforma delle fondazioni bancarie l’obiettivo, «era parte del mio patto segreto con Berlusconi nel 2001», ha ricordato ieri Bossi a chi voleva capire i motivi della sua esternazione. E visto che finora non era riuscito a superare l’ostacolo, il Senatur ha deciso di aggirarlo, intestandosi la manovra politica e affidando al titolare di Via XX Settembre la regia tecnica, la triangolazione proprio con le fondazioni bancarie, che passa anche dal rinnovo di cariche importanti, come quelle della Cassa depositi e prestiti: una cassaforte con dentro 180 miliardi dei piccoli risparmiatori italiani.
Dieci anni dopo, forte del consenso elettorale, Bossi ci riprova, e manda un messaggio al mondo della finanza, a metà tra un avvertimento e una proposta di compromesso. Lo fa in nome di quel «blocco padano» che intende rappresentare: dalle piccole e medie imprese fino alla galassia delle «partite Iva», che in questa fase di crisi economica hanno difficoltà di accesso al credito.
«Bossi - dice l’economista Baldassarri - vuole rompere lo schema di un sistema di potere che finora ha governato indipendentemente da chi vinceva le elezioni». Un’offensiva in grande stile, dinnanzi alla quale gli alleati sembrano restare a guardare. Non a caso c’è chi - come Cantoni - esorta il suo partito, il Pdl, a «sviluppare una linea, per non lasciare che sia solo la Lega a impostare strategie nel campo politico e in quello economico».
Quella di Bossi è in effetti un’operazione a largo raggio, con la quale prova a ipotecare il futuro. Perché
se da una parte si fa portabandiera di se stesso, dall’altra si fa portavoce di Berlúsconi, a cui offre una sponda, dicendo «no» alla legge elettorale a doppio turno e lasciando presagire la possibilità di varare le riforme costituzionali a maggioranza. E’ un abbraccio che per molti nel Pdl sa di accerchiamento, siccome il progetto semi-presidenzialista - che porterebbe al Colle il Cavaliere - lascerebbe libera la casella di Palazzo Chigi. La Lega non può puntarci, di questo Bossi è consapevole, ma può indirizzare la scelta. Magari favorendo «un amico». Berlusconi lascia libertà di manovra all ‘alleato, convinto com’è di gestire la partita fino in fondo e di dar vita - quando sarà il momento al ricambio generazionale. Ecco il punto. Ed ecco il nodo che aggroviglia ulteriormente la matassa nelle già complicate relazioni tra Berlusconi e Fini. E poco importa se il presidente della Camera si consideri «truffato» da Berlusconi, «perché non era così che avevamo deciso di costruire il partito insieme». Poco importa anche se il premier sia «stufo» del «cofondatore» che «aspetta solo una mia dichiarazione per poterla criticare e offendermi». Il problema è politico, è ciò che si cela dietro il refrain di Fini sulla necessità di «non appiattirsi sulla Lega».
È evidente che il vertice di oggi tra il presidente del Consiglio e il presidente della Camera non potrà
essere risolutivo, però dovrà dare quantomeno l’idea che un primo passo verso il chiarimento è stato fatto. Certo, tutto si complica quando sui problemi politici si innestano anche diversità caratteriali. Cicchitto tempo fa provò a strappare un sorriso a Fini: «Gianfranco, è chiaro che tu e Silvio siete antropologicamente diversi. Ma visto che teorizzi la società multirazziale...». Niente da fare. E se non si sblocca l’impasse tutto resta fermo sulle riforme istituzionali, tranne un passo sulle intercettazioni. Intanto Bossi si aggiusta la cravatta e dieci anni dopo prepara la sua rivincita.
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