Il flop dei sondaggi

Che è successo? Possibile che abbiano sbagliato un’altra volta? Incredibile che anche questa volta ci siamo cascati tutti... Eppure basterebbe un po’ di memoria storica. Correva l’anno 1995: sicuro dei primi sondaggi, l’allora direttore del Tg4 Emilio Fede piazzò incautamente dodici bandierine in altrettante regioni di una grande mappa magnetica: erano quelle che avrebbero dovuto essere assegnate a Forza Italia. Alcuni sondaggisti gliene attribuivano nove, altri ne contavano quattro incerte. Finì esattamente all’opposto: l’alleanza Pds-Ppi vinse per nove a sei. Che si tratti di exit poll (all’uscita del seggio) o instant poll (al telefono), poco cambia. Era accaduto nel 1996, nel 2001, nel 2006. Dopo l’ultimo flop, nel 2008, la Rai decise perfino di sospendere l’uso di queste rilevazioni. Fino all’ultimo i vertici di Viale Mazzini hanno dubitato se permettere o meno la diffusione dei dati, poi hanno deciso per il sì. Ieri mattina chiunque avrebbe scommesso su una vittoria, seppur di misura, della coalizione di centrosinistra. Ci hanno creduto perfino i mercati, al punto di costringere i vertici di Borsa italiana a sospendere alcuni titoli come Unicredit per eccesso di rialzo. A meno che non fosse speculazione, se è vera la voce secondo cui una grande banca d’affari aveva sul tavolo lo scenario giusto, quello che accreditava il boom di Grillo. Sia come sia, i sondaggi hanno sbagliato. Gli instant poll delle 15 danno il centrosinistra in chiaro vantaggio sia alla Camera che al Senato. Le prime proiezioni invertono i rapporti di forza, ipotizzando il centrodestra in chiaro vantaggio sul centrosinistra. I numeri dello spoglio ci racconteranno una verità ancora diversa, con il Pd in lieve vantaggio sugli altri, e però incapace di esprimere una maggioranza e tallonato dal M5S.
Cos’è successo stavolta? Cosa non ha funzionato? «Nei sondaggi ci sono stati gravi errori tecnici» dice Piergiorgio Corbetta dell’Istituto Cattaneo di Bologna. «In Italia i sondaggi si fanno spesso in maniera superficiale: su campioni piccolissimi e ancora basati sull’uso dei telefoni fissi». Basta avere un po’ di confidenza con le nuove generazioni per sapere che la gran parte di loro il telefono fisso o non lo vuole perché usa solo il cellulare, o non se lo può permettere. E a chi è andata la gran parte dei voti dei più giovani se non a Grillo, a cui i sondaggi attribuivano molti meno voti di quelli che poi prenderà? Corbetta conferma e chiude il cerchio: «Grillo ha risucchiato al Pd e al centrosinistra molti più voti di quanto si supponesse». L’errore dei sondaggisti questa volta potrebbe essere stato lo stesso della gran parte degli osservatori della politica: sottovalutare la forza di Grillo fino all’ultimo, persino a dispetto di quelle piazze straripanti di gente a Bergamo come a Roma, a Padova come in Sicilia. Nicola Piepoli, il sondaggista scelto dalla Rai per le rilevazioni, ha una spiegazione diversa: «Evidentemente la gente ha spesso dichiarato di votare un partito e poi nelle urne ha fatto una scelta diversa. Il calcolo delle probabilità non è stato favorevole, ma con le proiezioni abbiamo man mano corretto quell’errore». Fatti salvi i possibili errori di rilevazione citati da Corbetta, la tendenza a dire una cosa e farne un’altra nel segreto dell’urna è piuttosto consolidata nel carattere degli italiani. «Nell’urna Dio ti vede, Stalin no», dicevano i manifesti anti-comunisti di Giovanni Guareschi. Fra gli italiani che ieri nell’urna hanno scelto per esasperazione di votare per il comico genovese molti, evidentemente, hanno faticato ad ammetterlo.
© 2013 Articolo pubblicato su La Stampa. Tutti i diritti riservati
SU