“Le firme di Giovine raccolte con l’inganno”

Dalla Rassegna stampa

Ora tocca al Consiglio di Stato: deve stabilire se il giudizio penale basta come accertamento del falso e se il Tar debba pronunciarsi sull’esito delle regionali.

Che le firme di parenti, amici o ex fidanzate presenti sulla lista elettorale siano state o meno falsificate, non è il cuore della questione: per condannare il consigliere regionale Michele Giovine e il padre, Carlo, sono sufficienti le false attestazioni con cui avevano dichiarato di aver raccolto le firme a Gurro (No) e Miasino (Vco) il 25 febbraio 2010. Mentre quel giorno, ha stabilito il processo, i due si trovavano da tutt’altra parte.

È quanto scrive il giudice Alberto Oggè nelle 62 pagine di motivazioni della sentenza di appello che ha confermato la condanna in primo grado a 2 anni e 8 mesi per il reato di falso al consigliere della lista Pensionati per Cota (e la riduzione a 2 anni per il padre), al centro non solo del processo penale, a cui a questo punto manca solo più il pronunciamento della Cassazione, ma anche dell’azione civile e dei ricorsi al Tar da parte di Mercedes Bresso, la candidata presidente del centrosinsitra alle elezioni regionali del 2010, perse per 9 mila voti contro il presidente attuale Roberto Cota. Molti meno dei 27 mila raccolti dalla lista di Giovine e che, secondo Bresso e i suoi legali, hanno fatto la differenza e hanno falsato il risultato finale.

La discussione sulle perizie calligrafiche sulle firme apposte dai candidati della lista di Giovine avevano occupato larga parte del processo di primo grado. Il giudice aveva sentenziato che erano false 17 firme su 19, accogliendo le conclusioni della perizia dell’accusa. Ma non era mai stata disposta una perizia superpartes. Nelle motivazioni depositate ieri si dice che non serviva: accertare il falso materiale (la riproduzione truffaldina delle firme), non è necessario per stabilire il falso ideologico (l’attestazione mendace di aver raccolto le firme, sottoscritta in qualità di pubblici ufficiali dai due imputati, che a Gurro e Miasino erano consiglieri comunali), dimostrato in modo sufficiente ai fini della condanna da altre prove, ad esempio i tabulati dei telefoni cellulari dei Giovine, mai agganciati dalle celle di Gurro e Miasino nel giorno della raccolta delle firme.

«Attendo di leggere per esteso le motivazioni, per quanto anticipato anche l’appello ha accolto l’evidente falso accertato nel primo processo», ha commentato Mercedes Bresso, che aggiunge: «Ben due condanne hanno accertato la condotta criminale dei Giovine, a questo punto mi auguro che presto anche il Consiglio di Stato prenda atto del falso accertato dal Tribunale di Torino. Ormai non c’e’ più nessun dubbio sull’inquinamento delle elezioni regionali del 2010». E, invece, i dubbi dal punto di vista giuridico, restano. Anzi: si moltiplicano. Perchè proprio il fatto che la falsità sia stata confermata sotto un unico profilo quello ideologico, non quello materiale - potrebbe avere un peso importante sulle decisioni del Consiglio di Stato, che dovrà decidere sui ricorsi contro la validità delle elezioni regionali e che non è affatto detto che tenga conto del giudizio penale. Si potrebbe arrivare, cioè, a una sorta di paradosso giudiziario in cui la condanna di Michele Giovine in sede penale potrebbe anche non essere presa in considerazione dai giudici amministrativi. Intanto, Bresso attende l’annunciata sospensione del consigliere regionale dalla carica, che rischia però di produrre un altro paradosso: «Mi auguro solo dice Bresso - che non venga sostituito dal secondo eletto di un partito che, in concreto, non aveva candidati eleggibili».
 

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