Fini valuta le dimissioni prima del congresso

Per ora sono destinati a rimanere semplici segnali. Se porteranno a qualcosa di più concreto - un allargamento della maggioranza, la nascita di una sorta di istituzionalizzato governo di minoranza che dialoga con Casini, Fini e Rutelli - lo si capirà solo nelle prossime settimane. Perché tutti aspettano il D-day, quello in cui - presumibilmente a metà gennaio -, la Consulta si esprimerà sul legittimo impedimento. E fino ad allora, nessuno scopre le proprie carte.
Così, restano appunto segnali quelli mandati da Maurizio Sacconi, come quelli spediti da Formigoni, da Frattini, da tutti coloro che si appellano ai moderati per costruire un nuovo rassemblement moderato che si richiami al Ppe. E se appare piuttosto prevedibile la risposta di Beppe Fioroni («Al Pd voglio bene, l’ho fondato e non me ne vado a meno che qualcuno non mi cacci»), più possibilisti Casini e Rutelli lanciano l’opposizione «all’americana»: dialogante, costruttiva, ma pur sempre opposizione.
Non è insomma questo il momento della trattativa, anche se - dicono dal Pdl - i canali restano aperti, come farebbero intuire «le parole di Bossi, che proprio perché vede spiragli si premura di chiuderli...». Piuttosto, questo è il momento di caricare le truppe. Domani il Fli riunisce il suo coordinamento politico, e si attendono novità da Gianfranco Fini, alle prese con molti malumori. Non si prevedono tagli di teste, ma tanti attendono parole chiare sul futuro, la sconfessione della posizione dei falchi (nel mirino Bocchino, Briguglio, Granata) e un deciso spostamento a destra della barra del partito. Un partito che terrà il suo congresso fondativo a febbraio, quando dovrebbe essere eletto segretario il moderato Adolfo Urso. Un partito che potrebbe entrare sulla scena politica con una novità: le dimissioni di Fini da Montecitorio, ancora ieri invocate dal Pdl con Osvaldo Napoli, che potrebbero arrivare - dicono dal Fli - anche prima dell’appuntamento congressuale.
Se verrà imboccata questa strada, è probabile che Fini terrà tutti o quasi i suoi deputati. Anche nel Pdl in queste ultime ore si frena sull’arrivo di 8-10 finiani delusi nel gruppo che Moffa vorrebbe costituire. Piuttosto, dicono i bene informati, sarebbero «3 o 4, forse anche 5» gli onorevoli pronti a varcare il Rubicone ma «nessuno di loro è del Fli».
Si vedrà, per il momento il polo della Nazione manda segnali di unità: domani o al massimo dopodomani si riunirà il coordinamento dei gruppi parlamentari, con l’obiettivo di stabilire linee e candidati comuni per le amministrative (ma in molte realtà si pensa ad alleanze con il Pdl) e di mettere in campo una «task force» sulle questioni socio-economiche, quelle sulle quali «siamo uniti più noi che Pdl e Lega» assicura Urso. Sui prossimi voti in Parlamento invece ci sarà divaricazione: se sul decreto rifiuti il sì o l’astensione sarà comune, sulla riforma dell’Università Fli voterà sì mentre Udc e Api no. Sui provvedimenti futuri la linea sarà sempre concordata: si vedrà cosa votare sulle mozioni di sfiducia individuali ai ministri Calderoli e Bondi, anche se Roberto Rao ribadisce che quello che interessa davvero sono «i provvedimenti concreti: che fa il governo, presenta la riforma del processo civile o quella sulle intercettazioni? Leggi ad personam o nell’interesse di tutti?». Posizioni ferme, che rendono ancora molto difficile dire se un’intesa tra maggioranza e terzo polo è possibile o no. Bisognerà appunto attendere la Consulta: se boccerà il legittimo impedimento «Berlusconi vorrà andare al voto», prevedono dall’uno e dall’altro fronte, mentre se lo approverà o chiederà di cambiarne qualche passaggio (il PdN in questo caso darebbe la propria disponibilità) la legislatura potrebbe continuare. In ogni caso, entro gennaio il quadro dovrà essere chiaro: «O ci rafforziamo e andiamo avanti - avverte Paolo Bonaiuti - o si va alle elezioni».
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