Fini: sulla giustizia non firmerò nulla

Dalla Rassegna stampa

L’accordo sulla giustizia non sembra poi così lontano, Calderoli lo vede addirittura dietro l’angolo, forse già oggi l’avvocato Ghedini (per conto del Cavaliere) e l’avvocato Bongiorno (a nome di Fini) potrebbero trovare il compromesso. Eppure... Ci sono alcuni «dettagli» tuttora da definire che, combinazione, riguardano il destino processuale del premier. E il diavolo si annida di solito proprio in questi cavilli.
Tra l’altro, nella maggioranza c’è un’aria avvelenata. Brutti segnali di insofferenza. Ieri mattina il «Giornale», edito dal fratello di Berlusconi, è tornato all’attacco contro il presidente della Camera. Feltri sostiene di aver avuto notizia che entro mercoledì Fini dovrà mettere la firma sotto i voleri del premier, altrimenti verrà buttato fuori dal partito. Un aut-aut che l’ex-leader di An, in assenza di qualunque smentita dal Cavaliere, vive parecchio male. Tanto da consentire a Fabio Fazio, del quale è stato ospite ieri sera su RaiTre, di andare a fondo dei suoi (pessimi) rapporti col capo del governo.
Chi ha seguito la trasmissione non può non aver colto il tono secco delle risposte di Fini, l’assenza di qualunque infingimento. Lezioncina di galateo democratico: Berlusconi «ha il diritto di governare in quanto gliel’hanno conferito gli elettori, ma deve farlo nel pieno rispetto delle regole e degli altri organi che la Costituzione prevede». Nell’ordine, la Consulta, il Parlamento, il Capo dello Stato, la stessa magistratura. Idem nel Pdl: «E’ certamente il leader, ma non si tratta di una monarchia assoluta». L’idea del «partito come caserma» a Fini fa orrore. Rivendica il suo diritto a dissentire. Altrimenti, soggiunge, «si è supini».
I rapporti personali con Berlusconi sono devastati. Fini non ne fa mistero: il premier «sa perfettamente che quando Feltri spara sull’accampamento alleato danneggia anche il presidente del Consiglio, che tra l’altro è anche il suo editore, il che non quadra». Perfino la più semplice delle trattative, con questa nevrosi, finirebbe per arenarsi. Figuriamoci quella su un tema intricato come la giustizia. La buona notizia per Berlusconi è che Fini non si mette di traverso a una legge capace di fargli da scudo. Anche lui, come Calderoli, annota la singolarità di inchieste fiorite nel momento in cui l’attuale premier è sceso in politica. Se condannato in primo grado non dovrebbe dimettersi, concede Fini. Il quale è pure d’accordo che i processi (compresi quelli del premier) non debbano trascinarsi in eterno. «Discutiamo di questa lunghezza abnorme», apre la porta il presidente della Camera. Tra parentesi lo stesso Pd ha presentato specifiche proposte in materia. E Casini, per conto dell’Udc, si spinge al paradosso di rimproverare il premier per non avere ancora affrontato il nodo-giustizia, «mi chiedo perché Berlusconi abbia aspettato fino ad oggi...».
La difficoltà nasce sul modo di applicare il criterio della «ragionevole durata». Dicono gli amici di Fini che lui non ha obiezioni sul limite massimo dei 6 anni per un processo, su cui ragionano i «tecnici». Pone semmai il problema della cosiddetta norma transitoria: come ci si regola per i processi pendenti? Ovvio che Berlusconi vorrebbe applicare la «ghigliottina» pure a quelli, in modo da liberarsi delle sue pendenze. Fini ha un’altra idea. «Non si può togliere ai cittadini», afferma, «il diritto di sapere se avevano ragione o no. Se si annullano dei procedimenti, chi chiede un verdetto magari ha già pagato le spese dell’avvocato giustamente si arrabbia».
Ecco dunque il nodo da sciogliere: come evitare che il termine ai processi diventi un colpo di spugna. Nell’attesa, Fini rifiuta di prendere ordini. Mettere la firma sotto un documento, come dice Feltri? Replica duro: «Gli autografi si chiedono a Sting», ospite della trasmissione prima di lui, «non a un parlamentare. E comunque, dato il ruolo, un presidente della Camera non firma assolutamente nulla». In questo clima poco sereno, scompare dai radar il vertice di maggioranza sulle Regionali (La Russa dice no a Bossi, che vuole candidare un leghista tanto in Veneto quanto in Piemonte). Prima, avvertono i finiani, «dovrà esserci un incontro chiarificatore tra Silvio e Gianfranco. Bossi può attendere».

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