Fini: “Sono analfabeti in diritto costituzionale”

Al tg delle 20, ieri su La 7, è stato Gianfranco Fini stesso, ospite di Enrico Mentana, a commentare la scelta di Berlusconi e Bossi di chiedere un incontro a Napolitano per invocare le sue dimissioni. E lo ha fatto facendo una previsione: il premier e il leader della Lega non andranno al Quirinale «perché chiedere le mie dimissioni sarebbe da analfabeti in diritto costituzionale». Se i due incontreranno Napolitano lo faranno per parlare della situazione politica «e questo è del tutto legittimo». Ha poi aggiunto che resterà al suo posto fino alla fine della legislatura, per tre anni, a meno che «non mi dimostrino che sono venuto meno ai miei doveri» e che «ho violato il regolamento e i compiti che esso mi impone». Ha quindi citato i precedenti presidenti della Camera che erano esponenti di spicco di un partito: da lotti e Violante fino a Bertinotti e Casini per concludere ricordando a Lega e Pdl che «la Camera non è una dependance di Palazzo Chigi» e che non è vietato fare politica: «Fuori dalla Camera nessuno può vietarmi di dire quello che penso». Ha sottolineato inoltre che non può essere presentata una mozione di sfiducia al presidente della Camera che dovrebbe pertanto dichiararsi «inammissibile».
Alla domanda se si sente di far parte della maggioranza ha risposto di sentirsi «libero e con la coscienza a posto, ma sempre all'interno del centrodestra» e di non temere un confronto con un eventuale elettore di centrodestra deluso dal suo comportamento: «Molti mi hanno detto di andare avanti, a chi mi contesta risponderei che aspetto ancora di sapere perché le mie idee sono incompatibili col Pdl, da cui sono stato cacciato». In merito alla campagna dei media berlusconiani ha sottolineato di non essere mai andato nella casa di Montecarlo: «La magistratura chiarirà tutto». Infine, le elezioni per Fini sarebbero una scelta da irresponsabili: «Noi sosterremo i cinque punti del governo, ma vogliamo contribuire a scriverli». In ogni caso, se si andasse alle urne, «noi - ha detto Fini - siamo pronti».
A due giorni da Mirabello, intanto, la cifra dominante nel Pdl è la confusione o, meglio, l'incapacità di decidere. L'unico che fa la voce grossa è Umberto Bossi, che ieri ha ribadito che il voto è l'unica soluzione «per uscire dal pantano». Dal vertice del Pdl a Palazzo Grazioli non è uscito nulla, nonostante il clima ottimo vantato da Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori pidiellini. Il vertice si è limitato a "preparare" l'ufficio di presidenza odierno e a rimuginare sull'opportunità di "disturbare" il presidente della Repubblica per chiedere che Fini si dimetta. Berlusconi non ha ieri presieduto il consiglio dei ministri dal quale ci si attendeva la nomina del nuovo ministro dello Sviluppo economico. Fumata nera, quindi, da Palazzo Chigi, dopo un consiglio durato solo 15 minuti. Né è stata fissata la data dell'incontro con Giorgio Napolitano (il Quirinale ha precisato ieri che non è giunta nessuna richiesta) nel corso del quale Bossi e Berlusconi dovrebbero chiedere un intervento per far dimettere Gianfranco Fini. Prassi anomala e contro la Costituzione secondo il finiano Italo Bocchino e che, secondo Beppe Pisanu, è impraticabile in quanto «non si vedono le infrazioni costituzionali né di tipo regolamentare che possono motivare formalmente la richiesta di dimissioni di Fini».
Una dichiarazione, quella di Pisanu, fatta alla festa del Pd a Torino, che ha creato ulteriore imbarazzo nelle file del Pdl. Un imbarazzo cui aveva contribuito anche l'improvvida sortita di Umberto Bossi che, al cronista che gli chiedeva lumi sulla data della salita al Colle, ha risposto: «Aspetta, bisogna vedere quando siamo liberi io e Berlusconi. C'è un giro di telefonate». Frase incauta, pronunciata con leggerezza, come se il Quirinale fosse il ristorante sotto casa, dove si va quando si ha un momento libero. In pratica il partito di Berlusconi, costretto a prendere atto che sulle elezioni non decide il premier così come non decide sulle dimissioni del presidente della Camera (Bersani ha opportunamente ricordato ieri che le istituzioni non sono a disposizione di Bossi e Berlusconi) non sa che pesci prendere, non ha uno straccio di strategia da pianificare, e appare totalmente in balia della Lega. E così Pier Ferdinando Casini tira le somme sconsolato: «Ormai l'unico che conta, in Italia, è Bossi... siamo fritti».
La fase politica è talmente delicata che Marco Pannella consiglia al Colle una possibile exit strategy confezionando un messaggio alle Camere, strategia bocciata da Adolfo Urso (Fli): «Vedo che Bossi insiste a chiedere udienza al Quirinale, accompagnato da Silvio Berlusconi, per fare una richiesta irricevibile, quanto all'invito di Pannella credo che il presidente della Repubblica abbia dimostrato in questi anni che non è necessario tirarlo per la giacca. Noi lo rispettiamo perché Napolitano ha dimostrato come si possa rispettare pienamente, con la Costituzione, tutte le istituzioni del Paese». Mai come ieri il Pdl e la Lega sono apparsi isolati: l'ipotesi del voto anticipato è stata respinta anche dal quotidiano dei vescovi Avvenire, per il quale la corsa alle urne «nasconderebbe una fuga dalle responsabilità».
E anche dalla stessa maggioranza si sono levate voci che non lasciano spazi ad ipotesi catastrofiste: da una parte Giulio Tremonti, il quale ha assicurato che in Europa non c'è preoccupazione per l'instabilità politica dell'Italia, dall'altra ancora Pisanu, che ha invocato la fine del "gioco del cerino": «Invece dì giocare con il cerino, diamo una soffiata così non si brucia nessuno e vediamo insieme maggioranza e opposizione che cosa si può fare per il bene del Paese». «Negli anni di piombo - ricorda Pisanu - Berlinguer e Moro collaborano. So che oggi non ci sono né Moro e né Berlinguer, ma anche se non ci sono uomini di quella caratura tutti insieme impegniamoci per il bene del Paese». Magari mettendo in agenda una riforma delle legge elettorale, argomento toccato da Fini durante il discorso di Mirabello, e al quale guarda con crescente interesse il mondo politico, a cominciare dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani.
L'idea di far dimettere Gianfranco Fini dallo scranno più alto di Montecitorio, invece, viene percepita come un ulteriore fattore di rissa interna capace di far degenerare l'attuale dialettica in uno scontro istituzionale senza precedenti. Per questo l'annunciata visita a Napolitano da parte di Bossi e Berlusconi viene giudicata un fuor d'opera. Secondo Anna Finocchiaro «non è nelle facoltà del presidente del Consiglio chiedere le dimissioni del presidente della Camera, e soprattutto non è nelle prerogative del capo dello Stato. Quindi credo questa annunciata visita al Colle avrà un esito non positivo, se è questo l'oggetto del colloquio». Mentre Silvana Mura, dell'Idv, fa notare: «Bossi, prima di salire al Quirinale, dovrebbe spiegare perché non fece dimettere l'allora presidente della Camera Irene Pivetti quando la Lega tolse la fiducia al primo governo Berlusconi».
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