Fini sfida Berlusconi sul modello francese: "Bisogna cambiare anche la legge elettorale"

Dalla Rassegna stampa

Anche lui, assicura, quando si parla di riforme guarda a Parigi. Perché «a me il sistema francese non va bene, va benissimo», giura Gianfranco Fini, «ma siamo sicuri che si possa introdurre in Italia in tutta la sua complessità?». Anche perché, avvisa, «non si può ragionare del modello francese prescindendo dalla legge elettorale». Ovvero da quel maggioritario a doppio turno che non piace per niente a Silvio Berlusconi, che lo giudica un assist alla sinistra.
Il presidente della Camera sceglie la platea della sua fondazione, FareFuturo, riunita giusto per valutare l’adattabilità dell’architettura costituzionale gollista alla realtà italiana, per irrompere nel dibattito sulle riforme. E Fini lo fa rovesciando sul tavolo della maggioranza, alle prese con le prime bozze ispirate proprio al semipresidenzialismo in vigore al di là delle Alpi, una serie di interrogativi. A partire dal metodo con il quale i partiti, e quindi anche quelli della coalizione di governo, si rapportano al tema. «Se ne parla in modo troppo superficiale», premette.
Nel senso che la discussione pubblica sulle riforme, di cui pure tutti riconoscono l’«urgenza», è «viziata da una certa stanchezza culturale e progettuale e da non pochi pregiudizi di carattere politico». Poi ci sono le riserve sul merito dei punti oggetto del negoziato all’interno della maggioranza. «Ho l’impressione che in Italia si parli solo dell’elezione diretta del Capo dello Stato», si lamenta il presidente della Camera a margine dei lavori della fondazione.

«EQUILIBRIO DA RISPETTARE»
Nella relazione che apre il convegno, Fini va subito al cuore del problema: «Quando si parla della Quinta repubblica francese, sarebbe bene che ci si riferisse non solo al testo costituzionale, ma a tutto ciò che ha caratterizzato la vitalità del sistema francese». E quindi, ad esempio, alla riforma introdotta nel luglio 2008, che ha permesso di riequilibrare «il ruolo del parlamento rispetto a quello dell’esecutivo». Ed è qui che il presidente della Camera marca in modo significativo le distanze da quanti nella maggioranza, in primis lo stesso Silvio Berlusconi, vedono nel modello gollista un modo per rafforzare esclusivamente i poteri dell’esecutivo.
Se si guarda a Parigi, avverte Fini, la riforma deve avvenire «in modo armonico ed equilibrato». «Modalità di elezione e poteri del presidente della Repubblica», infatti, devono marciare di pari passo con il «riordino del Parlamento», incluse «le sue modalità di elezione, la sua funzionalità e la partecipazione ai processi di decisione europea». Basti pensare che due anni fa, ricorda Fini, è stato di fatto introdotto lo «statuto dell’opposizione». Quindi guai, mette in guardia, se ci fosse «un’adozione del modello francese non organica e di sistema, bensì parziale o, peggio ancora, amputata di alcuni suoi fondamentali meccanismi di equilibrio e di garanzia». Uno schema di questo genere, chiosa, «rischierebbe di non rispondere positivamente alle reali necessità del Paese».

SILVIO: NO AL DOPPIO TURNO
Il presidente della Camera fa di tutto per non alimentare polemiche interne («la maggioranza ha vinto le elezioni e quando si vinceva tutto bene»). Ma il suo richiamo alla necessità di modificare, insieme all’impalcatura istituzionale, anche la legge elettorale (il bipolarismo va «rafforzato» attraverso il «maggioritario a doppio turno con collegi uninominali»), qualche fibrillazione la provoca lo stesso. Berlusconi, infatti, resta contrario al meccanismo caldeggiato da Fini per numerose ragioni: la complessità del sistema, il costo - raddoppiato - delle operazioni di voto e il vantaggio che ne riceverebbe, in caso di prevedibile aumento dell’astensione al secondo turno, la sinistra.

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