Fini e Rutelli, la strana coppia dagli insulti all'abbraccio

Chi l'avrebbe mai detto. Francesco Rutelli, uscito dal Pd, e Gianfranco Fini, cacciato dal Pdl, alle prese con quel che sembra un progetto comune di "rivoluzione" del quadro politico. Fini e Rutelli: la strana coppia del nuovo corso, Fini e Rutelli, gli ex competitors per il Campidoglio, che oggi voteranno all'unisono, per dimostrare, con Casini, che ci sarebbe, forse, una terza via. Mai dire mai, sono le sorprese che riserva la politica. Ricordate? Era il 1993 quando l'attuale leader dell'Api sparava a zero sul segretario del Msi, candidato sindaco sdoganato e sponsorizzato da Berlusconi. No, non si amavano affatto. Per Fini, Rutelli era «l'uomo sandwich del Pds, la brutta copia di Pannella, l'espressione di una coalizione di cinque partiti, cioè di quella partitocrazia che con me finirà». Per Rutelli, Fini era «l'ex fascista appoggiato dalla Dc sbardelliana e andreottiana, dai costruttori, dai commercianti, dalla nobiltà nera», uno da battere per «far vincere la tolleranza e la non violenza». Le claques dei due contendenti erano così accese che, una sera, a «Milano-Italia», fu necessario chiamare i carabinieri. Diciassette anni dopo, a Linda Lanzillotta, da sempre fedelissima di Rutelli, vien da ridere: «Quelli erano toni da campagna elettorale. Da allora tante cose sono cambiate. Fini è stato protagonista di una evoluzione culturale profondissima, stimolata dal suo incarico alla Farnesina, dall'esperienza fatta alla Convenzione Europea, forse anche dai suoi rapporti intensi, e di reciproca stima, con Giuliano Amato». Distanze che si accorciano, inquietudini speculari. Rutelli, deluso ed emarginato, esce dal Pd, che pure aveva contribuito a fondare, immolando alla causa la Margherita («Questo non è più il mio partito, lascio con dolore»); Fini, costretto a sciogliere la sua creatura dentro il Pdl, dopo l'editto del predellino, alla fine si ribella a Berlusconi, alla «sua logica aziendale», alle opacità del sistema interno di potere, e affronta la sentenza di morte del Capo. Uno democraticamente se ne va, l'altro viene cacciato. Che è sempre una bella differenza. Sono, in qualche maniera, sulla stessa barca. Hanno sparigliato rispetto ai grandi partiti e adesso, dice Lanzillotta, ecco «l'esigenza di un progetto politico diverso. Noi dell'Api avevamo fatto un'analisi corretta... bisogna aggregare quelli, nei due poli, che hanno una visione comune e avviare un processo politico». Prove di orchestra, con le truppe dei fedelissimi che si incontrano, si annusano e i due, Fini e Rutelli, dietro le quinte. Oggi primi effetti speciali sulla mozione di sfiducia a Caliendo. È comunque da tempo che la coppia si parla: «C'è sempre stato un rispetto reciproco, al di là degli scontri elettorali - certifica Lanzillotta - è chiaro che in questi mesi si sono sentiti. Non è che le cose nascono così, all'improvviso». «Il cambiamento è solo all'inizio», dice Rutelli. Ed è esattamente quello che pensa Fini, per la prima volta in mare aperto. I rivali di un tempo affrontano in contemporanea «la fase di riposizionamento», come la definisce Silvano Moffa, che ha seguito il presidente della Camera nella sua avventura. Moffa è stato presidente della Provincia di Roma quando Rutelli era sindaco (poi anche con Veltroni). Ricorda di aver avuto, con l'ex leader della Margherita, «un confronto aspro, ma sempre sui contenuti, senza scadimenti e sconfinamenti nel personale, all'insegna del reciproco rispetto dei ruoli istituzionali». Insomma, le basi per dialogare c'erano già tutte, anche quando Rutelli considerava Fini l'erede ultimo di Salò. Da qui a parlare di Terzo Polo, però, ce ne corre. Moffa è prudentissimo: «C'è da ricostruire il senso delle istituzioni e dello Stato, da ricomporre un tessuto di responsabilità. Su questo non c'è distinzione di provenienza, non esistono destra e sinistra. In termini dialettica, ci può anche stare una comune analisi di fondo...». Tutto qui, è bene non spingersi oltre. Guarda da fuori, e con scetticismo, il popolare Pierluigi Castagnetti: «Conosco i ragazzi (anche Casini, ndr), e vedo difficile anche solo un assemblaggio. Ci sarebbe subito un problema di leadership».
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