Fini: "Non toglierò il disturbo. Berlusconi ora accetti il dissenso"

Dalla Rassegna stampa

Cita Ezra Pound: «Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui». E spedisce messaggi all’indirizzo di Palazzo Chigi: «Non ho intenzione di stare zitto, né di togliere il disturbo».
Dunque, niente scissione e niente gruppo autonomo. Ad ascoltare il presidente della Camera, nella sala Tatarella di Montecitorio, si ritrovano 39 deputati e 13 senatori. II pallottoliere di Gianfranco Fini raggiunge dunque quota 52, su un documento assai soft, che riprende il testo di solidarietà al «capo» promosso sabato dai senatori a lui più vicini. Fatto sta che tanti bastano all’ex leader di An per annunciare che «ora si apre una fase nuova, con un confronto aperto nel partito». È il battesimo della corrente, spina nel fianco del partito monolitico berlusconiano. La riunione tanto attesa dura poco più di un’ora, nella stessa mattinata impiegata dagli ex "colonnelli" La Russa, Gaspare, Alemanno, con l’aggiunta a sorpresa della (finora) finiana Giorgia Meloni, per raccogliere 75 firme di altrettanti parlamentari provenienti da An ma pronti a giurare fedeltà al Pdl («Ma non siamo contro Fini»). Una «controconta», per dirla col berlusconiano Osvaldo Napoli, esattamente quel che si attendeva il presidente del Consiglio dai suoi ministri exAn.
Unico ministro al tavolo di Fini sarà Andrea Ronchi che prova a minimizzare: «Non faremo una corrente». Ma aderiscono al documento anche 5 eurodeputati ex An su 9. Ai suoi, header spiega che «ci sono momenti in cui bisogna guardarsi allo specchio. Decidere se si è disposti a rischiare per le proprie idee. Questo è il momento». Sostiene che il Pdl «è un progetto politico riuscito solo in parte», che la Lega è «alleato prezioso» ma il rapporto col Carroccio resta un nodo irrisolto. Come lo è il rapporto con Berlusconi: «Se giovedì usciremo con un’ampia maggioranza sul documento del premier, ma anche una nutrita pattuglia di minoranza, allora significa che ci sarà un confronto aperto. Comincerà una fase nuova.
Il problema che si porrà sarà: il dissenso interno può esistere o siamo il partito del predellino?» In ogni caso, «la fase del 70 a 30 è finita». Molto di quel che dice e che fa il premier a lui non sta bene e lo ribadisce ancora una volta: «Com’è possibile dire che Saviano ha incrementato la Camorra? Nessuno nega che Berlusconi sia vittima di accanimento giudiziario, ma a volte dice cose sulle quali è difficile convenire».
Altri prendono la parola. Raccoglie applausi il senatore Candido De Angelis, quando ricorda di essere lì per Fini, non per sostenere una scissione, «e non mi faccio rappresentare da altri se non da te». Stoccata polemica all’indirizzo del "portavoce" dell’area, Italo Bocchino, ma anche dei vari Briguglio, Granata. La pensa così anche Roberto Menia, che ancor prima che inizi l’incontro si pizzica nell’atrio di Montecitorio coi colleghi e chiede che a parlare adesso sia solo Fini. Il leader in riunione smorzai toni ma riconosce
che chi ha parlato di scissioni in questi giorni «ha solo incendiato il dibattito». Nella giornata concitata,
animata da liste e telefonate spuntano anche le doppie firme di chi aderisce al documento pro Fini e a quello filo berlusconiano.
De Angelis, per esempio, perché «i due documenti si integrano». O Agostino Ghiglia, perché «giusto esprimere dissenso ma il Pdl è scelta irreversibile». Sui 75 firmatari dell’altro testo il presidente della Camera fa ricorso all’ironia e confida alla Velina Rossa di Pasquale Laurito: «In realtà sono d’accordo con me, ma ufficialmente non vogliono che si sappia». I riflettori ora si accendono sulla direzione di domani. Ma tra le due anime dell’ex An scorre parecchio veleno. Fabio Granata ne stilla contro la Meloni: «Rivendica contro Fini il suo conservatorismo etico? A me sembra che l’unica cosa che voglia conservare è l’amministrazione di Fondi».

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