Fini: "Non divorzio da Silvio ma abbia rispetto"

Se mai tregua è stata tra Fini e Berlusconi è già finita. «Non divorzio, riconosco la leadership del premier, ma chiedo rispetto e non starò zitto», ripete il presidente della Camera. E meno male che Umberto Bossi chiarisce di «non volere le elezioni anticipate. E se non le vuole la Lega, il rischio che tutto possa precipitare non c’è. Noi puntiamo solo al federalismo», assicura. Cosa che contribuisce a far tramontare l’ipotesi del voto che Fini continua a definire «da irresponsabili». Tuttavia, la tensione tra l’ex leader di An e il premier è a livello di guardia. A riaccendere lo scontro l’ennesimo attacco del Giornale di Feltri che tira in causa la madre e la compagna del presidente della Camera «che ha avuto un lauto contratto per la produzione di una trasmissione Rai». Una denuncia che per Fini «è la prova che certo giornalismo sguazza nel fango, per non dire altro». Ma al di là del fatto contingente, la vicenda tronca le ali alle "colombe", che stanno lavorando per una ricomposizione dello scontro politico emerso durante la direzione del Pdl. In molti, a cominciare dal sindaco di Roma, Alemanno, stanno cercando di mediare. Ma ieri l’irritazione del presidente della Camera è apparsa incontenibile a Porta a Porta. L’ennesima tappa della campagna mediatica «per spiegare il nostro punto di vista politico»si trasforma così in un altro atto di accusa contro un certo modo di gestire il Pdl. «Non sono presidente della Camera per un gentile "cadeau" di Berlusconi», esordisce, a sottolineare che il suo ruolo non può essere messo in discussione. Ce n’è anche per «il fratello dell’editore del Giornale, che solo oggi mi dà la sua solidarietà. Ma sì dà il caso che non sia stato un incidente forse non legge i giornali». Segue la critica politica, che prende spunto dal documento della direzione, «nel quale si parla di popolo, non di partito della libertà. Ma il partito non può essere un impaccio, né una parentesi», avverte Fini, che rivendica il diritto al dissenso. Poi, si rivolge a Berlusconi: «Governare significa anche ascoltare, non soltanto comandare». Il presidente della Camera torna su federalismo, giustizia, immigrazione, temi sui quali la pensa diversamente dalla maggioranza del Pdl. Ed entra anche nelle polemiche del giorno.
Dalla possibile defenestrazione di Italo Bocchino, «che ha fatto bene a presentare le dimissioni da vice capogruppo alla Camera, se quello è il problema». Tuttavia, non prende in considerazione l’ipotesi di un suo allontanamento dall’incarico, del quale il gruppo discuterà oggi. «Spero non ci siano epurazioni. Non sarebbe un bel segnale per chi si dichiara liberale. Altro che partito dell’amore. Ma sta a Berlusconi decidere». «Semmai al capogruppo Cicchitto», obietta Vespa, subito rimbeccato da Fini: «Davvero crede che Cicchitto possa decidere senza ascoltare Berlusconi?». Come dire, basta con le ipocrisie.
Il cofondatore del Pdl sceglie la strategia dell’attacco «ma assolutamente trasparente, perché questo vuol dire essere leali, non certo parlare dietro le spalle. Sapesse quanti vengono a bussare alla mia porta», rivela. Ripete di «voler restare nel Pdl». E difende dai sospetti di complotto i deputati della sua area che non hanno partecipato al voto sul ddl lavoro: «Le assenze erano moltissime, non può partire la caccia alle streghe».
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