Fini chiederà un'apertura sulle riforme e il Cavaliere pensa ad un gesto distensivo

Dalla Rassegna stampa

Tornano a volare le colombe, tra Arcore e Roma, tra il premier Berlusconi e il presidente della Camera Fini. Si apre la settimana decisiva per la tenuta del Pdl e i pontieri sono al lavoro per evitare in extremis lo strappo. Certo, tra i pontieri non si ascrive il "Giornale" di casa Berlusconi, ancora ieri incendiario contro il "cofondatore" e i suoi. Tuttavia, chi ha sentito il Cavaliere, ieri a Villa San Martino, sostiene sia addirittura pronto a un segnale di apertura, di riconciliazione prima della direzione di giovedì, «pur di consentire a Gianfranco di rientrare». Il presidente del Consiglio ha apprezzato i toni concilianti delle ultime ore, raccontano. Quelli usati dai finiani riuniti sabato a pranzo e contrari alle «fughe in avanti», intanto. Ma anche quelli degli ex An del governo che si stanno spendendo per ricucire. Altero Matteoli che
invita a mettere da parte il «tifo da stadio» e a «stemperare le tensioni». Spiega: «Che il presidente del Consiglio e leader del partito si prodighi per tenere unito il governo e il Pdl mi sembra abbastanza naturale e così farà». Molto sta facendo il sindaco di Roma Alemanno, per non dire di Renata Polverini, neo governatrice, ex finiana doc e già ricollocatasi al centro del campo. Non è un caso se anche Adolfo Urso ieri ipotizzasse, in caso di frattura, la «nascita di una minoranza interna». Non certo quella di un nuovo partito del centrodestra, come azzardato da Carmelo Briguglio. Fughe in avanti lette dal fronte berluconiano come tatticismi in vista della resa dei conti di questa settimana.
Su un punto Berlusconi non intende cedere e lo ha ripetuto ieri: «Sull’organigramma del Pdl, non ci sarà alcuna cessione a Gianfranco». Anche per non irritare il "cofondatore" non inviterà stasera ad Arcore Umberto Bossi per il consueto caminetto del lunedi. Forse i due rivedranno a Roma domani. Fini dal canto suo ha tenuto i contatti con i suoi per tutto il week end, in vista del vertice di domani alla Camera con deputati e senatori pronti a seguirlo. Il documento che sottoporrà loro e il discorso che terrà giovedì all’Auditorium della Conciliazione riprenderà in parte l’intervento alla scuola politica Pdl di Gubbio del settembre scorso e in parte la relazione al congresso di un anno fa. Ma si spingerà anche oltre. Farà un’analisi puntuale delle differenze emerse tra le due anime del partito. Rimarcherà quanto non è andato finora nella gestione del Pdl. Rivendicherà il diritto di critica per chi dissente dalle scelte del leader. Invocherà scelte collegiali. Ribadendo che se tutto questo non avverrà, le strade potranno sempre dividersi.
La prospettiva dei gruppi autonomi, magari da qui a un anno, resta sullo sfondo. Altri punti della «requisitoria» finiana saranno la necessità che le riforme si facciano ma non a colpi di maggioranza, il no alla trazione leghista, più attenzione al Mezzogiorno, alla legalità e ai diritti civili. Sorta di manifesto del presidente della Camera per la «svolta del Pdl» che dovrà fare però i conti con i voti dei membri della direzione nazionale (171) allargata a deputati, senatori e europarlamentari: saranno più di 500.
Gianfranco Fini sa di poter contare su uno spicchio, che ormai non è più il 30 per cento portato in dote al Pdl un anno fa. Il braccio destro Bocchino insiste: 40 deputati e 20 senatori, il doppio di quanto necessario per dar vita a gruppi autonomi. Feltri, anche ieri, infieriva dalle colonne del quotidiano sul «Fini scaricato dai suoi», scatenando ancora le ire dei sito finiano Fare Futuro: parlano di «truppe come se le questioni poste fossero solo roba di poltrone». Ma sono le truppe del "cofondatore"che in queste ore il leader Berlusconi sta pesando e contando. Prima di decidere se porgere la mano o voltare le spalle e lasciare che vadano.

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