Fini e Bersani via insieme Prove di intesa in diretta tv

Dalla Rassegna stampa

Ore ventidue, eccoli, Gianfranco Fini a sinistra e Pier Luigi Bersani a destra, in commistione di ruoli e voci. L’intervento è teatrale: una luce, un microfono, un primo piano. Non è un discorso politico, ma un manifesto in poesia di Futuro e libertà e Partito democratico. Fini rimanda al testo letto da Luca Barbareschi, Bersani al prototipo di sinistra riformista. Il presidente di Montecitorio sceglie militari, legalità, istituzioni, imprese, famiglia, magistrati (Falcone e Borsellino): "Per crescere insieme, per essere davvero uniti, per sentirsi comunità nazionale il nostro popolo non può fare da solo. Ha bisogno di istituzioni politiche autorevoli, rispettate, giuste. Per questo, destra vuol dire senso dello Stato, etica pubblica, cultura dei doveri". Messaggino a Berlusconi.
 Il Segretario del Pd replica con Costituzione, operai, immigrati, laicità, istruzione, salute, donne: "Il lavoro non è tutto, ma questo non può dirlo chi il lavoro ce l’ha. Il lavoro è la dignità di una persona. Sempre. E soprattutto quando hai trent’anni e paura di passare la vita in panchina. Ma chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto. E allora un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile". Idee per una riforma? L’impatto visivo è forte. Un passaggio drammaturgico, quasi elettorale, eppure studiato e ben calibrato da Fini e Bersani per parlare a otto milioni di italiani: a mezz’ora dall’inizio, nessuno conosceva la scaletta né la redazione di Vieni via con me né i rispettivi portavoce. Tra ingresso e uscita di scena, in perfetta par condicio, l’intervento dura nove minuti. Quei minuti che Mauro Masi voleva azzerare, appena Roberto Saviano e Fabio Fazio hanno spedito l’invito a Bersani e Fini. E il Pdl diviso si è unito nella rivolta. Il direttore generale (ri)scopre la sua censura spuntata, poi ascolta Fazio nominare decine di segretari e partiti per ironizzare: "Se fossimo una tribuna politica, dovremmo chiamare....... E parte il catalogo che somiglia a una cascata a piramide da Silvio Berlusconi e Umberto Bossi sino al "Movimento di Azione popolare" e la "Federazione dei liberali italiani". Il programma è un sali e scendi tra satira, canzoni ed emozioni. Mina Welby racconta le ultime parole di Piergiorgio, malato terminale, nelle ore di un’eutanasia.
 Un dialogo tra una moglie e un marito, un lungo saluto per dirsi addio. Il monologo di Mina è avvolto in uno strano silenzio: "Tu stasera non piangere", "Sono stato bene con te e tu?", "Morire non è uno scherzo", "A Marco Pannella: vecchio bestione, ti voglio bene", "Prima che vengono tutti, rinfrescami il viso", "Metti Vivaldi". E Fazio: "Ma lei non ha messo Vivaldi?". E lei: " No, non trovavo il disco, e allora lui mi ha chiesto Bob Dylan". La musica è una pausa che fa riflettere. E la "Canzone di Marinella" intonata da Cristiano De André introduce Beppino Englaro che ricorda la storia di Eluana, il calvario di un padre per staccare la spina: "Perché mai avrebbe voluto vivere priva di coscienza e mai avrebbe tollerato la continua profanazione del suo corpo". Nell’Italia di Eluana e Piergiorgio che cerca il futuro, c’è l’Italia delle mafie che frena sul passato. Saviano mette in scena con Antonio Albanese il rito di affiliazione per la ‘ndrangheta, mostra i rifugi sotterranei dei boss. Calabria, poi Campania: la "sua" Casal di Principe e Francesco Schiavone, detto Sandokan. L’autore di Gomorra scala verso Milano, malavita obiettivo l’Expo 2010: infiltrazioni nei lavori pubblici, appalti presi al minimo ribasso.
 L’intermittenza serve a rendere più leggero un programma, molto sincopato, lungo tre ore. Fazio legge con Silvio Orlando le "cose che non avevamo previsto e invece sono accadute": "Che quelli di sinistra fossero entusiasti prima di Indro Montanelli e poi di Fini", "Che si potesse dire di una ragazza in coma da diciassette anni (Eluana): ‘Mi hanno detto che può procreare’ (Berlusconi)". E poi c’è la vita da cantautore di Luciano Ligabue, da prete di strada di Don Gallo, da precaria di Laura, di sgomberi di Flaviana (rom), di eccessi e genio di Paolo Rossi, di Cetto La Qualunque, alias Albanese.

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