Fini e Berlusconi alla rissa "Non tradisco, dico la mia", "Se vuoi far politica, dimettiti"

L’orgoglio di Fini: «Non sono un traditore, ma ho il diritto di dire quello che penso». L’accusa di Berlusconi: «Non ti ho mai dato del traditore. Ma sei tu ad aver cambiato e adesso la Lega copia le posizioni che aveva An». La richiesta di Fini: «Voglio luoghi dove si discute, dove poter dire la mia». L’ira di Berlusconi: «Ma se non sei nemmeno venuto a Piazza San Giovanni». L’indignazione di Fini: «Ma quello era un comizio...». Infine la minaccia urlata dal Cavaliere: «Se vuoi fare l’uomo politico lascia la presidenza della Camera», a cui segue la sfida di Fini: «Che fai mi cacci?». Nella sala dell’Auditorium di via della Conciliazione esplode la rissa nel Partito dell’Amore. Finito l’intervento di Fini, interrotto più volte dalle sue proteste, Berlusconi replica dal palco. Fini, seduto tra il portavoce del premier Paolo Bonaiuti e la segretaria Rita Marino, paonazzo, scatta in piedi e va verso il palco per smentire ad alta voce e con il dito alzato quello che il premier sta dicendo dal palco: «Gianfranco, - urla il Cavaliere - hai cambiato totalmente posizione. Vuoi avere la possibilità di fare dichiarazioni politiche? Ti accogliamo a
braccia aperte nel partito, ma non da presidente della Camera». Non si era mai visto nulla del genere.
Nella giornata «che cambia le dinamiche nel Pdl» si è compiuto il"sacrilegio": per la prima volta il cofondatore Fini ha osato sfidare davanti alla Direzione e soprattutto davanti alle telecamere l’altro cofondatore, padrone del partito, Silvio Berlusconi. Bastava vedere l’espressione inorridita e sconvolta di Sandro Bondì per capire che stava accadendo qualcosa di inusitato.
Fini ha lasciato il suo posto in platea un paio di minuti prima dell’una, chiamato al palco da Berlusconi con una frase contorta che tradiva la tensione del momento. Quando sale sul palco, il presidente della Camera è nervosissimo. L’oratore freddo e tagliente di tanti discorsi a Montecitorio è rosso in volto, tormenta la cravatta rosa, si sistema i polsini della camicia, tocca l’orologio, allinea le aste dei microfoni, non riesce a tenere le mani ferme.
Berlusconi si sistema di trequarti sulla sedia per guardarlo meglio. La mascella serrata, ogni tanto borbotta un commento a Denis Verdini che gli siede accanto, prende appunti, scrolla la testa, guarda Fini
come se volesse fulminarlo con lo sguardo. Per quasi un’ora il presidente della Camera incalza il premier.
All’inizio mette in tavola la carta del diritto al dissenso. «Attenzione al centralismo carismatico», avverte il presidente della Camera riferendosi alla "monarchia" di Berlusconi. «Non credo che riconoscere la libertà di opinione possa rappresentare il venire meno di un dovere dì lealtà. Il Pdl è certamente un partito democratico, che discute e vota, ma un partito democratico significa accettare che all’interno ci sia una pluralità di voci e posizioni, ci possa essere qualche indicazione anche molto diversa da quelle che vanno per la maggiore e non significa mettere in discussione una leadership». Area politico culturale per Fini non significa corrente: «Qui non si tratta di fare una corrente finalizzata a quote di potere ma di dibattito». Naturalmente chi ha opinioni diverse «non ha diritto di sabotare l’azione del governo. Ha però il diritto di confrontarsi su come attuare bene e per davvero il programma di governo». La tensione si taglia a fette, la prima scintilla è sulle elezioni. Fini osa mettere in discussione uno dei tormentosi preferiti del Cavaliere in campagna elettorale: quello della lista del Pdl a Roma. «Sgombriamo il campo dal tema delle elezioni», attacca il presidente della Camera. «So benissimo che sono andate bene e che la coalizione ha vinto le elezioni: in alcuni casi le ha vinte personalmente Berlusconi, come ad esempio nel Lazio, dove però... devo dirtelo: ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto di magistrati cattivi e di radicali violenti?». Berlusconi prende il microfono e replica seccato: «Secondo me sì. Non un complotto ma un comportamento». Pini denuncia «le attenzioni mediatiche» subite dal quotidiano della famiglia. Berlusconi si chiama fuori e contrattacca: «Non parlo con il direttore del Giornale e non ho alcun modo di influire. Ho convinto mio fratello a metterlo in vendita e se c’è
qualche imprenditore vicino a te può entrare nella compagnia azionaria». Comunque «il più critico nei tuoi confronti non è il Giornale ma Libero che fa capo ad un deputato ex An, Angelucci, che è anche un tuo amico personale». Poi la Lega. Al sud il Pdl va bene, ma al nord perde voti a favore di Bossi. La diagnosi di Fini è impietosa. «Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega» e l’appiattimento «è pericoloso».
La Lega è un «soggetto politico di primaria importanza: il problema è che io ho cercato di fondare il Pdl, non di dar vita aduna associazione tra noi e la Lega, perchè alleati non vuol dire essere una fotocopia, soprattutto su certi principi». Primo fra tutti quello del rispetto della persona umana, anche se si tratta di immigrati clandestini. E i 150 anni dell’Unità d’Italia sotto tono perchè «la Lega non vuole». E il federalismo fiscale «che senza alcune cautele, in tempi di vacche magre rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale». Poi Fini sgretola un altro pilastro della strategia dei consenso di Berlusconi: «L’ottimismo va bene, ma fra tre anni dobbiamo presentare agli elettori i fatti», quindi siccome c’è la
crisi «dobbiamo rimodulare il programma sulle cose che è possibile fare da qui alla fine della legislatura.
E su questo non è sbagliato discutere tra di noi». Tremonti è una sfinge. Ma la bomba atomica scoppia sulla Giustizia. «Ti ricordi le litigate a quattr’occhi che abbiamo fatto sul processo breve? Quella era un’amnistia mascherata che cancellava seicentomila processi - accusa Fini agitando i fogli che ha in mano e guardando Berlusconi negli occhi e allora mi devi dire che cosa c’entra la riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere». Berlusconi scalpita, Finito riprende: «È inutile che mostri insofferenza».
Ma il premier è furente. Lascia che Fini termini l’intervento e si precipita al microfono. «Il nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio in televisione da parte di Bocchino, Urso e Raisi», accusa. «Quando ti sentivo parlare mi sembrava di sognare. Non mi sono mai giunte queste richieste. Hai cambiato totalmente posizioni: martedì ne ltuo studio davanti a Gianni Letta mi hai detto "sono pentito di aver fondato il Pdl" e che volevi fare gruppi autonomi in Parlamento. Non cambiamo le carte in tavola». A sera un solo commento: «Tutto normale».
braccia aperte nel partito, ma non da presidente della Camera». Non si era mai visto nulla del genere.
Nella giornata «che cambia le dinamiche nel Pdl» si è compiuto il"sacrilegio": per la prima volta il cofondatore Fini ha osato sfidare davanti alla Direzione e soprattutto davanti alle telecamere l’altro cofondatore, padrone del partito, Silvio Berlusconi. Bastava vedere l’espressione inorridita e sconvolta di Sandro Bondì per capire che stava accadendo qualcosa di inusitato.
Fini ha lasciato il suo posto in platea un paio di minuti prima dell’una, chiamato al palco da Berlusconi con una frase contorta che tradiva la tensione del momento. Quando sale sul palco, il presidente della Camera è nervosissimo. L’oratore freddo e tagliente di tanti discorsi a Montecitorio è rosso in volto, tormenta la cravatta rosa, si sistema i polsini della camicia, tocca l’orologio, allinea le aste dei microfoni, non riesce a tenere le mani ferme.
Berlusconi si sistema di trequarti sulla sedia per guardarlo meglio. La mascella serrata, ogni tanto borbotta un commento a Denis Verdini che gli siede accanto, prende appunti, scrolla la testa, guarda Fini
come se volesse fulminarlo con lo sguardo. Per quasi un’ora il presidente della Camera incalza il premier.
All’inizio mette in tavola la carta del diritto al dissenso. «Attenzione al centralismo carismatico», avverte il presidente della Camera riferendosi alla "monarchia" di Berlusconi. «Non credo che riconoscere la libertà di opinione possa rappresentare il venire meno di un dovere dì lealtà. Il Pdl è certamente un partito democratico, che discute e vota, ma un partito democratico significa accettare che all’interno ci sia una pluralità di voci e posizioni, ci possa essere qualche indicazione anche molto diversa da quelle che vanno per la maggiore e non significa mettere in discussione una leadership». Area politico culturale per Fini non significa corrente: «Qui non si tratta di fare una corrente finalizzata a quote di potere ma di dibattito». Naturalmente chi ha opinioni diverse «non ha diritto di sabotare l’azione del governo. Ha però il diritto di confrontarsi su come attuare bene e per davvero il programma di governo». La tensione si taglia a fette, la prima scintilla è sulle elezioni. Fini osa mettere in discussione uno dei tormentosi preferiti del Cavaliere in campagna elettorale: quello della lista del Pdl a Roma. «Sgombriamo il campo dal tema delle elezioni», attacca il presidente della Camera. «So benissimo che sono andate bene e che la coalizione ha vinto le elezioni: in alcuni casi le ha vinte personalmente Berlusconi, come ad esempio nel Lazio, dove però... devo dirtelo: ma credi veramente che la lista non sia stata presentata per un complotto di magistrati cattivi e di radicali violenti?». Berlusconi prende il microfono e replica seccato: «Secondo me sì. Non un complotto ma un comportamento». Pini denuncia «le attenzioni mediatiche» subite dal quotidiano della famiglia. Berlusconi si chiama fuori e contrattacca: «Non parlo con il direttore del Giornale e non ho alcun modo di influire. Ho convinto mio fratello a metterlo in vendita e se c’è
qualche imprenditore vicino a te può entrare nella compagnia azionaria». Comunque «il più critico nei tuoi confronti non è il Giornale ma Libero che fa capo ad un deputato ex An, Angelucci, che è anche un tuo amico personale». Poi la Lega. Al sud il Pdl va bene, ma al nord perde voti a favore di Bossi. La diagnosi di Fini è impietosa. «Al Nord siamo diventati la fotocopia della Lega» e l’appiattimento «è pericoloso».
La Lega è un «soggetto politico di primaria importanza: il problema è che io ho cercato di fondare il Pdl, non di dar vita aduna associazione tra noi e la Lega, perchè alleati non vuol dire essere una fotocopia, soprattutto su certi principi». Primo fra tutti quello del rispetto della persona umana, anche se si tratta di immigrati clandestini. E i 150 anni dell’Unità d’Italia sotto tono perchè «la Lega non vuole». E il federalismo fiscale «che senza alcune cautele, in tempi di vacche magre rischia di mettere a repentaglio la coesione sociale». Poi Fini sgretola un altro pilastro della strategia dei consenso di Berlusconi: «L’ottimismo va bene, ma fra tre anni dobbiamo presentare agli elettori i fatti», quindi siccome c’è la
crisi «dobbiamo rimodulare il programma sulle cose che è possibile fare da qui alla fine della legislatura.
E su questo non è sbagliato discutere tra di noi». Tremonti è una sfinge. Ma la bomba atomica scoppia sulla Giustizia. «Ti ricordi le litigate a quattr’occhi che abbiamo fatto sul processo breve? Quella era un’amnistia mascherata che cancellava seicentomila processi - accusa Fini agitando i fogli che ha in mano e guardando Berlusconi negli occhi e allora mi devi dire che cosa c’entra la riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere». Berlusconi scalpita, Finito riprende: «È inutile che mostri insofferenza».
Ma il premier è furente. Lascia che Fini termini l’intervento e si precipita al microfono. «Il nostro partito è stato esposto al pubblico ludibrio in televisione da parte di Bocchino, Urso e Raisi», accusa. «Quando ti sentivo parlare mi sembrava di sognare. Non mi sono mai giunte queste richieste. Hai cambiato totalmente posizioni: martedì ne ltuo studio davanti a Gianni Letta mi hai detto "sono pentito di aver fondato il Pdl" e che volevi fare gruppi autonomi in Parlamento. Non cambiamo le carte in tavola». A sera un solo commento: «Tutto normale».
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