Fini, attento ai figheti di destra - Lettera

Caro direttore,
mi rivolgo al suo giornale che, da sempre attento all’analisi politica, è forse il migliore spazio per far arrivare al presidente Gianfranco Fini un affettuoso monito: stia attento presidente a non finire imprigionato nel fighettismo di destra.
Parlo armata del rispetto che ho per Fini, e della sicurezza di essere stata fra i primi a riconoscere il ruolo e la forza di un uomo e di un ‘area politica quando gli stessi che oggi fanno a gara a sedurla e a lodarla ne avvertivano l’ "odor di fogna ". Mi perdonerà dunque la Terza Carica dello Stato se anche stavolta mi tengo fuori dal coro.
Il presidente Fini a mio parere esce dalle recenti elezioni bastonato, e amputato di un progetto che aveva sostenuto e sulla cui strada molti l’hanno seguito. Che non ci sia una presa d’atto di questa batosta, che irato continui come prima, che il giorno dopo le elezioni , ci venga presentata la stessa dinamica fra i riformatori istituzionali e/o meno istituzionali all’interno del governo, con il solito triangolo Bossi-Fini-Berlusconi, è francamente immeritevole del senso della politica di Fini.
Vogliamo provare a vedere cosa è successo, presidente? Nell’ultimo anno lei è diventato il più popolare politico crossborder d’Italia. Ha proposto infatti con la credibilità di chi viene da una certa storia (cogliendo così dopo molti anni il risultato di aver tenuto alta la bandiera della destra come partito del ‘senso dello Stato’ ), l’idea che le istituzioni sono un bene pubblico. Cioè che le istituzioni in sè non sono né di destra né di sinistra, e dunque in quanto tali possono regolare con autorevolezza il bene comune.
La posizione sulla immigrazione da lei presa è forse la più esemplare di questa direzione: la cittadinanza, lei ha ricordato, è uno dei fondamenti dello Stato, e come tale non è né di destra né di sinistra, bensì un diritto. Riportando la barra della politica sul valore indiscusso, sopra le parti, di quel contratto collettivo che è lo Stato, lei ha raccolto intorno a sè il consenso di molti cittadini rimasti orfani e disorientati dalla mancanza generale di regole in cui stiamo affondando.
La destra moderata si è stretta intorno a lei; e anche una parte della sinistra, inclusa quella che più l’ha disprezzata in passato, l’ha scelta come esempio di tutto quello che la destra può offrire di positivo al paese. Eugenio Scalfari, per tutti. Nessuna meraviglia, viste le premesse, che intorno a lei sia poi nata - soprattutto nell’anno passato - una vita intellettuale fra le più interessanti. Giornalisti, filosofi, accademici, donne e uomini vivaci, e soprattutto imprevedibili. Essi stessi intellettuali cross border che hanno attinto alla grande cultura della destra per reinterpretarla nel contesto della modernità.
Ma questo successo era dovuto - mi domando ora più di prima - a una linea politica o alla promessa che essa nascondeva? La promessa, molto rilevante, che il materializzarsi di una destra come la sua, presidente Fini, era la migliore prova che il fenomeno Berlusconi era all’inizio della fine. Perché di questo si tratta, ancora oggi, in fondo. Non è vero?
La stagione del Rinascimento finiano, con i suoi irregolari, i Rossi, i Campi, le Ventura, ha fatto immaginare a una parte della società di entrambi i campi che la destra delle anticaglie autoritarie fosse alla frutta. Non credo di essere ingenerosa. Brusca forse sì. Ma le cose vanno dette. La stagione finiana è vissuta anche dell’equivoco che potesse essere il superamento del berlusconismo. In questo senso, le elezioni sono state un brusco risveglio non solo per il centro-sinistra ma anche, appunto, per l’area che gira intorno al presidente della Camera. Eppure di questa sconfitta non abbiamo sentito parlare, e da questo silenzio parte questa lettera.
Vincitrice indiscussa è la Lega. Ammaccato (con un qualche milione in meno di voti), ma dominus indiscusso Silvio Berlusconi. Manca all’appello, nel dibattito attuale il risultato dell’area An. Forse perché non è certo positivo. An conta sul baluardo del Lazio e poco più: qualche radicamento al Sud, ma poca cosa.
Alla luce di questi risultati, non ci meritavamo, come pubblica opinione, un’analisi su questa sconfitta? Al centro- sinistra l’hanno chiesta tutti, e la si è chiesta "rigorosa", come si deve a una forza politica. E alla ex An? Ad una ex An così brillante, moderna, piena di intellettuali non tocca fare una disamina del proprio voto? Invece di una onesta analisi abbiamo invece avuto risposte di comodo, tipo : «Ma non possiamo fare un’analisi a parte perché noi non siamo un’area a parte». Una evidente fuga dalla realtà. Non degna di essere accolta come credibile, visto il modo chiaro, netto e identitario con cui l’area finiana si è mossa fino a un minuto prima della chiusura delle urne. Tutto sembra aver ripreso come prima. Come nulla fosse, è stato fatto il convegno sulla Quinta Repubblica, è stata lanciata una nuova rivista, e la terza carica dello Stato è rientrato nel dibattito sulle riforme discutendo degli "etti" di presidenzialismo che questo paese può o meno digerire. Potremmo tutti lasciare perdere. Ma, sempre con franchezza, sarebbe un peccato. Dentro il centro-destra ci sono dibattiti, idee, vivacità e valori (inclusi quelli della Lega) che sono di rilevanza nazionale.
A patto di non sostituirli con le chiacchiere. E qui entra in scena il fighettismo. Una categoria che la destra ha azzannato e continua ad utilizzare contro il centrosinistra, facendone il simbolo della sua decadenza. In realtà il fighettismo esiste ma è tutt’altro che esclusivo appannaggio del centrosinistra. Esiste a 360 gradi, è ritrovabile in ogni categoria sociale e politica. E più che una malattia è una seduzione.
Il fighettismo che si declina spesso come uno stile di abbigliamento e di vita, dai cashmire al complesso di superiorità - in realtà credo si possa definire come la tentazione della autosufficienza psicologica e intellettuale. Quello stato dell’animo e della mente che vuole sapere solo quello che già sa, e ascoltare solo quello che riconferma il proprio esistente. Il fighettismo è un felice stato di diniego permanente - quello che appunto affligge culturalmente oggi una parte della sinistra. Ma che ha ampie ramificazioni anche a destra.
Il rischio di fighettismo è oggi molto percepibile nell’area finiana. E quel cantare la stessa canzone, densa di citazioni, libri, cultura, ma pur sempre la stessa. E quel felice rifiuto di una sconfitta, della presa d’atto di uno scarto. E’ ballata intellettuale che porta lentamente alla autoreferenzialità. Spiace dire queste cose di questa vivace e interessante area, ma se non per affondare il ferro della realtà che ci stanno a fare gli intellettuali?
Gli intellettuali hanno il loro posto e il loro valore. Ma non possono essere lo specchio, tantomeno lo strumento del far politica. L’idea che le Fondazioni, le riviste e i convegni siano il sostituto della politica è una idea prevalsa in una epoca come la nostra in cui la politica è debole - e anche in questo caso va notata la identica tendenza a destra come a sinistra. Il che ci porta dritti dritti a Fini. Il presidente vuole oggi rimanere prigioniero di questo universo creatogli intorno? Da questo suggestione di permanenza? O vuole fare politica? Ci pensi: vuole mettere sul tavolo una ipotesi di riforma e battersi per questa? Federalismo, tasse e riforme elettorali inclusi? E vero che la terza carica dello Stato non può far direttamente politica. La terza carica dello Stato può però, e deve, indirizzare il paese nel senso delle istituzioni. Non farlo appieno, con una vera ed esplicita agenda, può portare oggi Fini su una lunga strada pavimentata di aggiustamenti, quartini, note a pie’ di pagina - che potrebbero valere alla fine solo quanto tutte le buone intenzioni di questo mondo. Cioè nulla.
mi rivolgo al suo giornale che, da sempre attento all’analisi politica, è forse il migliore spazio per far arrivare al presidente Gianfranco Fini un affettuoso monito: stia attento presidente a non finire imprigionato nel fighettismo di destra.
Parlo armata del rispetto che ho per Fini, e della sicurezza di essere stata fra i primi a riconoscere il ruolo e la forza di un uomo e di un ‘area politica quando gli stessi che oggi fanno a gara a sedurla e a lodarla ne avvertivano l’ "odor di fogna ". Mi perdonerà dunque la Terza Carica dello Stato se anche stavolta mi tengo fuori dal coro.
Il presidente Fini a mio parere esce dalle recenti elezioni bastonato, e amputato di un progetto che aveva sostenuto e sulla cui strada molti l’hanno seguito. Che non ci sia una presa d’atto di questa batosta, che irato continui come prima, che il giorno dopo le elezioni , ci venga presentata la stessa dinamica fra i riformatori istituzionali e/o meno istituzionali all’interno del governo, con il solito triangolo Bossi-Fini-Berlusconi, è francamente immeritevole del senso della politica di Fini.
Vogliamo provare a vedere cosa è successo, presidente? Nell’ultimo anno lei è diventato il più popolare politico crossborder d’Italia. Ha proposto infatti con la credibilità di chi viene da una certa storia (cogliendo così dopo molti anni il risultato di aver tenuto alta la bandiera della destra come partito del ‘senso dello Stato’ ), l’idea che le istituzioni sono un bene pubblico. Cioè che le istituzioni in sè non sono né di destra né di sinistra, e dunque in quanto tali possono regolare con autorevolezza il bene comune.
La posizione sulla immigrazione da lei presa è forse la più esemplare di questa direzione: la cittadinanza, lei ha ricordato, è uno dei fondamenti dello Stato, e come tale non è né di destra né di sinistra, bensì un diritto. Riportando la barra della politica sul valore indiscusso, sopra le parti, di quel contratto collettivo che è lo Stato, lei ha raccolto intorno a sè il consenso di molti cittadini rimasti orfani e disorientati dalla mancanza generale di regole in cui stiamo affondando.
La destra moderata si è stretta intorno a lei; e anche una parte della sinistra, inclusa quella che più l’ha disprezzata in passato, l’ha scelta come esempio di tutto quello che la destra può offrire di positivo al paese. Eugenio Scalfari, per tutti. Nessuna meraviglia, viste le premesse, che intorno a lei sia poi nata - soprattutto nell’anno passato - una vita intellettuale fra le più interessanti. Giornalisti, filosofi, accademici, donne e uomini vivaci, e soprattutto imprevedibili. Essi stessi intellettuali cross border che hanno attinto alla grande cultura della destra per reinterpretarla nel contesto della modernità.
Ma questo successo era dovuto - mi domando ora più di prima - a una linea politica o alla promessa che essa nascondeva? La promessa, molto rilevante, che il materializzarsi di una destra come la sua, presidente Fini, era la migliore prova che il fenomeno Berlusconi era all’inizio della fine. Perché di questo si tratta, ancora oggi, in fondo. Non è vero?
La stagione del Rinascimento finiano, con i suoi irregolari, i Rossi, i Campi, le Ventura, ha fatto immaginare a una parte della società di entrambi i campi che la destra delle anticaglie autoritarie fosse alla frutta. Non credo di essere ingenerosa. Brusca forse sì. Ma le cose vanno dette. La stagione finiana è vissuta anche dell’equivoco che potesse essere il superamento del berlusconismo. In questo senso, le elezioni sono state un brusco risveglio non solo per il centro-sinistra ma anche, appunto, per l’area che gira intorno al presidente della Camera. Eppure di questa sconfitta non abbiamo sentito parlare, e da questo silenzio parte questa lettera.
Vincitrice indiscussa è la Lega. Ammaccato (con un qualche milione in meno di voti), ma dominus indiscusso Silvio Berlusconi. Manca all’appello, nel dibattito attuale il risultato dell’area An. Forse perché non è certo positivo. An conta sul baluardo del Lazio e poco più: qualche radicamento al Sud, ma poca cosa.
Alla luce di questi risultati, non ci meritavamo, come pubblica opinione, un’analisi su questa sconfitta? Al centro- sinistra l’hanno chiesta tutti, e la si è chiesta "rigorosa", come si deve a una forza politica. E alla ex An? Ad una ex An così brillante, moderna, piena di intellettuali non tocca fare una disamina del proprio voto? Invece di una onesta analisi abbiamo invece avuto risposte di comodo, tipo : «Ma non possiamo fare un’analisi a parte perché noi non siamo un’area a parte». Una evidente fuga dalla realtà. Non degna di essere accolta come credibile, visto il modo chiaro, netto e identitario con cui l’area finiana si è mossa fino a un minuto prima della chiusura delle urne. Tutto sembra aver ripreso come prima. Come nulla fosse, è stato fatto il convegno sulla Quinta Repubblica, è stata lanciata una nuova rivista, e la terza carica dello Stato è rientrato nel dibattito sulle riforme discutendo degli "etti" di presidenzialismo che questo paese può o meno digerire. Potremmo tutti lasciare perdere. Ma, sempre con franchezza, sarebbe un peccato. Dentro il centro-destra ci sono dibattiti, idee, vivacità e valori (inclusi quelli della Lega) che sono di rilevanza nazionale.
A patto di non sostituirli con le chiacchiere. E qui entra in scena il fighettismo. Una categoria che la destra ha azzannato e continua ad utilizzare contro il centrosinistra, facendone il simbolo della sua decadenza. In realtà il fighettismo esiste ma è tutt’altro che esclusivo appannaggio del centrosinistra. Esiste a 360 gradi, è ritrovabile in ogni categoria sociale e politica. E più che una malattia è una seduzione.
Il fighettismo che si declina spesso come uno stile di abbigliamento e di vita, dai cashmire al complesso di superiorità - in realtà credo si possa definire come la tentazione della autosufficienza psicologica e intellettuale. Quello stato dell’animo e della mente che vuole sapere solo quello che già sa, e ascoltare solo quello che riconferma il proprio esistente. Il fighettismo è un felice stato di diniego permanente - quello che appunto affligge culturalmente oggi una parte della sinistra. Ma che ha ampie ramificazioni anche a destra.
Il rischio di fighettismo è oggi molto percepibile nell’area finiana. E quel cantare la stessa canzone, densa di citazioni, libri, cultura, ma pur sempre la stessa. E quel felice rifiuto di una sconfitta, della presa d’atto di uno scarto. E’ ballata intellettuale che porta lentamente alla autoreferenzialità. Spiace dire queste cose di questa vivace e interessante area, ma se non per affondare il ferro della realtà che ci stanno a fare gli intellettuali?
Gli intellettuali hanno il loro posto e il loro valore. Ma non possono essere lo specchio, tantomeno lo strumento del far politica. L’idea che le Fondazioni, le riviste e i convegni siano il sostituto della politica è una idea prevalsa in una epoca come la nostra in cui la politica è debole - e anche in questo caso va notata la identica tendenza a destra come a sinistra. Il che ci porta dritti dritti a Fini. Il presidente vuole oggi rimanere prigioniero di questo universo creatogli intorno? Da questo suggestione di permanenza? O vuole fare politica? Ci pensi: vuole mettere sul tavolo una ipotesi di riforma e battersi per questa? Federalismo, tasse e riforme elettorali inclusi? E vero che la terza carica dello Stato non può far direttamente politica. La terza carica dello Stato può però, e deve, indirizzare il paese nel senso delle istituzioni. Non farlo appieno, con una vera ed esplicita agenda, può portare oggi Fini su una lunga strada pavimentata di aggiustamenti, quartini, note a pie’ di pagina - che potrebbero valere alla fine solo quanto tutte le buone intenzioni di questo mondo. Cioè nulla.
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