Finanza e democrazia

Non c’è solo da salvare l’euro. Se fosse solo per la moneta unica, oltre certi limiti sarebbe legittimo domandarsi se ne vale ancora la pena. No, c’è un problema di rapporto tra finanza e democrazia che tocca all’Europa risolvere per il mondo, prima che la gente esasperata si rivolga a chi democratico non è.
Qualcosa ha cominciato a muoversi nella riunione del G-20 in Messico, come i mercati hanno notato ieri.
Verificheremo se sarà abbastanza al vertice tra i quattro maggiori Paesi dell’euro domani. Dato che nel mirino sono ora Madrid e Roma, non basteranno mediazioni a basso livello.
Per i tre Paesi deboli già soccorsi, Grecia, Irlanda e Portogallo, era ragionevole dubitare che potessero farcela da soli a sostenere i loro debiti. Il caso di Spagna e Italia è differente: avranno difficoltà a pagare solo se i mercati si convinceranno che hanno difficoltà a pagare. O meglio, se gli operatori finanziari si convinceranno che una parte sufficiente della loro categoria fa pronostici negativi sui due Paesi.
Così operano i mercati finanziari mondiali in una fase di instabilità. I due Paesi hanno difficoltà vere - in Spagna postumi della bolla immobiliare e reticenza dei successivi governi sullo stato delle banche, in Italia enorme debito pregresso e scarsa competitività - non sufficienti però a produrre un crac se i tassi di interesse non superano certi limiti.
Da questi dati di fatto si sviluppa sui mercati un processo che si autoalimenta. Che i tassi oggi richiesti sui titoli spagnoli e italiani siano assurdamente alti lo prova che sono vicini allo zero i tassi dei Paesi sentiti come rifugio, non solo la Germania ma anche Danimarca e Svizzera. Dopodiché, se il costo degli spread troppo alti affossa le economie, nel gioco delle scommesse possono anche entrare le conseguenze politiche, come una possibile ingovernabilità dell’Italia dopo le elezioni.
Alla speculazione finanziaria si intreccia nel mondo di oggi anche una speculazione intellettuale, che per giustificare a ritroso la propensione della finanza a creare disastri ingigantisce la dimensione delle difficoltà reali; le percezioni di tutti si distorcono. A questo punto ricordare che nei codici penali esiste un reato chiamato aggiotaggio fa venire in mente Don Chisciotte, oppure il limite di velocità a 80 km/h per i Tir in autostrada.
Se fenomeni di questo tipo possono far cadere gli Stati, nasce un problema di democrazia. Da secoli è noto che diffondendo il panico con voci o speculazioni si può abbattere anche una banca che ha impiegato i soldi in modo prudente. Centocinquant’anni fa in Inghilterra, per opera del commentatore economico Walter Bagehot, si diffuse l’idea che proprio nell’interesse di una sana economia di mercato un intervento pubblico (della banca centrale) doveva impedire esiti di questo genere.
Oggi occorre trovare strumenti innovativi perché la finanza non possa abbattere gli Stati. A questo mira la proposta italiana di cui ora in Europa si discute - impegno ad acquisti illimitati se i tassi superano una certa soglia - nata nella Banca d’Italia (Ignazio Visco vi aveva alluso il 31 maggio). Richiederà garanzie severe che giustifichino la fiducia reciproca degli Stati. Non deve accadere come nell’agosto 2011, quando i primi acquisti di titoli italiani da parte della Bce rilassarono l’impegno del precedente governo.
L’operazione costerà poco, anzi potrebbe perfino risultare in guadagno, se si riuscirà a convincere i mercati di essere pronti a spendere molto. E avrà senso solo se l’area euro intraprenderà nel contempo il doppio processo che ormai è impossibile rinviare, a breve termine per unificare i sistemi bancari, in tempi più lunghi per l’unione politica.
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