Federalismo difficile «contro» i comuni

Dalla Rassegna stampa

In politica, i numeri non hanno mai la solida certezza che acquistano quando sono stampati in un libro di matematica. Sul federalismo, però, l’assenza di numeri condivisi rischia di far impazzire la maionese della riforma più importante di questo tormentato scorcio di legislatura. Alle critiche sollevate la scorsa settimana dallo studio del Pd sugli effetti disomogenei nelle città, la maggioranza ha risposto (con qualche ragione) che i meccanismi di riequilibrio, pensati nella riforma, servono proprio a evitare che alcuni sindaci restino in braghe di tela.
 
La questione sollevata oggi dall’Ifel, cioè l’istituto degli enti locali nominato «partner scientifico» dai decreti attuativi, è più pesante: il problema, dicono le tabelle, è che i fondi assegnati ai comuni sono troppo scarsi e troppo incerti, le stime del governo (sull’emersione del nero negli affitti e sulle dinamiche del mattone) sono troppo ottimistiche, la perequazione è ancora troppo confusa.

Sono critiche «di parte»? Può darsi, ma, come mostra l’esperienza recentissima della trattativa fra governo e regioni, senza basi condivise non si va avanti, e il gioco dei sospetti incrociati può essere letale: è difficile pensare di fare il federalismo contro i diretti interessati.

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