Fede laica

La settimana scorsa ho preso spunto dal film di Moretti, "Habemus Papam", ormai divenuto celebre con gran soddisfazione del botteghino (bella trovata farlo uscire sotto la Pasqua). Riprendo il tema per (provare, a) dissipare un equivoco, un dubbio che forse ho insinuato nel lettore. Tenterò di fare, se qualcuno ne sentisse il bisogno, chiarezza.
Nella colonnina, avevo parlato in particolare del rapporto tra l'istituzione e il singolo, l'individuo. Da sempre è un rapporto difficile, la filosofia ci ha consumato sopra candele e inchiostro. C'è e non può non esserci - dicevo "dissonanza tra il potere, l'ufficialità, l'esteriorità rituale e l'interiorità: insomma, tra l'istituzione e l'uomo". Il pensiero democratico moderno ha fatto suo il diritto all'obiezione di coscienza, vale a dire al riconoscimento che l'individuo può dissociarsi dalle richieste e dagli obblighi cui è tenuto verso l'istituzione, quando ritenga che essi intaccano i suoi valori inalienabili. La faccenda dovrebbe ancor più complicarsi se l'istituzione è la chiesa (cattolica), per il fatto che si tratta di una istituzione carismatica. Le chiese, o sette, protestanti, non hanno carisma: così un loro ministro può sposarsi, avere casa e famiglia, non si è dato totalmente al ministero così come esige la chiesa romana, la quale mantiene anche il monachesimo e la clausura, estrema forma di dedizione totale. Non ho alcuna intenzione di immischiarmi in faccende che non sono mie, ma una osservazione vorrei permettermela: penso che se uno si rifiuta di assolvere un compito affidatogli dalla chiesa (cattolica), vuol dire che non ha fede in essa, nell'istituzione in sé. Nel film, al Papa in fuga viene chiesto se abbia perduto la fede, e lui risponde "no, assolutamente no". È una risposta funzionale al film e alle sue sottili polemiche, ma è assolutamente fuori luogo. Chi crede nella chiesa, sa che essa è fondata sul carisma, un carisma che le viene, secondo tradizione, direttamente da Cristo. E se Cristo l'ha affidata a un semplice pescatore, Pietro, come potrà abbandonare a se stesso, alle sue comprensibili angosce e ai suoi pur leciti dubbi, un suo eletto, l'eletto dai cardinali con l'assistenza dello Spirito Santo?
"Domine, non sum dignus ut entres in domum meam...", ma il Signore entra. C'è, nella situazione raccontata da Moretti, qualcosa di incongruente. Voci di dissenso e anche di condanna si sono levate in alcuni ambienti cattolici di peso ma, a dir la verità, quel che ne ho letto mi fa pensare che le critiche siano dirette ad altro. Forse mi sono sbagliato, ho letto male. Ma ho scusanti: questa problematica investe (o dovrebbe investire) il credente, il cattolico. Il laico la osserva con distacco. Quello che lo divide dal pensiero cattolico è a monte. Per il laico, ciò che conta è la questione del rapporto tra la chiesa e la storia, la storia dell'uomo e del mondo. Il carisma ecclesiale ha infatti un senso se rapportato alla fiducia dell'istituzione di esprimere, per volontà di Dio, nella sua totalità la storia dell'uomo, gli eventi terreni.
La puntuale specificità di questo rapporto è adombrata (dolorosamente) nella risposta di Benedetto XVI alla bambina giapponese che, durante le cerimonia per il venerdì santo, ha chiesto il perché del terremoto che ha devastato il suo paese. Il Papa le ha risposto, "Neppure io lo so... ma mi rimetto alla volontà di Dio, che comunque assiste tutti i sofferenti". È una ammissione di impotenza, anzi di "incompetenza", una incompetenza che risale a molto addietro, a quando la chiesa non poté più essere la riconosciuta interprete e portatrice della Provvidenza onnisciente di Dio. Si apriva allora il confronto con la montante modernità. Per poco, tuttavia. Bastò il terremoto di Lisbona (1755) per mettere in crisi, a sua volta, l'illuminismo, la fiducia nel progresso illimitato, versione laica della tramontata Provvidenza. Oggi, quella lontana crisi dell'illuminismo, così come le parole papali fondate sulla fede, anche se nello smarrimento dell'impotenza, non hanno, per il laico, un significato preciso.
Le risposte dei filosofi
Alcuni filosofi, specialmente tedeschi, si sono posti il problema del senso della storia. Hegel su tutti. Oggi, più modestamente, senza affidarci né all'illimitato progresso né al carisma ecclesiale, tentiamo piuttosto di prevenire o di ridurre i danni dei terremoti, delle calamità naturali, utilizzando il meglio della scienza, Per i terremoti abbiamo a disposizione il sismografo, le costruzioni antisismiche, ecc. Poco e insufficiente, però utile e affidabile.
Comunque, la coscienza dell'uomo non tollererebbe più che l'evento disastroso venga imputato a Dio, a una sua volontà di punire il peccato e il peccatore (come per Sodoma e Gomorra) interpretata dalla chiesa. E mi si consenta la mossa di karate finale. Non l'ho trovata altrove. Diciamocelo, il film di Moretti, che si muove tra il Bartleby di Melville (il cardinale eletto si chiama come lo scrittore americano), i funambolismi del Chaplin seconda maniera e un amaro pizzico di Cechov, non è sulla impossibilità e la solitudine dell'uomo, ma sulle impossibilità e la solitudine della chiesa.
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