Il fattore nostalgia

Mentre Frau Merkel definisce i nuovi programmi di governo con i liberali di Westerwelle, a pochi giorni dall’anniversario dei vent’anni dalla caduta del Muro, l’opposizione discute le ardue prospettive della sinistra in Germania. Se anche altre socialdemocrazie arretrano in Europa, il caso dei tedeschi presenta qualche aspetto in più. Per ora, il tema più controverso è il complesso di cause della sconfitta subita il 27 settembre.
Il collasso elettorale della Spd era prevedibile, almeno in qualche misura, dopo l’esperienza travaliata di Franz-Walter Steinmeier nel governo della Grosse Koalition con la Cdu-Csu, anche a causa della crisi finanziaria e del vincolo imposto alla spesa pubblica nella politica sociale della Bundesrepublik, che per altro ha tormentato anche le trattative per il nuovo governo. Fra le conseguenze, non solo gli osservatori segnalano un diffuso astensionismo a danno della socialdemocrazia, ma una considerevole perdita di voti a favore dell’estrema sinistra. Maggiore del previsto è stata l’entità dei consensi raccolti dal massimalismo di Oskar Lafontaine e del postcomunista Gregor Gysi, associati alla Linke. Fra i loro elettori e militanti, come notano cronisti e analisti, è affiorato ancora il fenomeno della Ostalgie , o nostalgia della Germania orientale dai tempi di Ulbricht a quelli di Honecker e al crollo del Muro. È un fenomeno particolare, variamente interpretabile.
Nostalgia di che? L’unificazione tedesca, di fatto l’annessione della Ddr alla Bundesrepublik per opera di Helmut Kohl, venne definita «un’Opa interstatale ». Per la prima volta, nella storia, uno Stato ne rilevava un altro come si rileva un’industria dissestata. Certo, non s’ignora che un regime durato mezzo secolo, benché imposto da un dispotismo straniero, può lasciare come seguaci gli orfani o pretesi eredi politici dell’oligarchia già sovrana. Ma quanto a lungo, dopo vent’anni?
Qualcuno rimpiange i severi costumi e l’austerità della Ddr, i miti e le immaginarie virtù della sua ideologia. Anche la povertà, malgrado l’assistenzialismo di regime? Anche la pervasiva tirannia poliziesca? Fra l’altro Berlino d’oltre muro, per chi l’abbia conosciuta prima dell’89, non rivelava minimamente il carattere d’una orgogliosa Sparta socializzata.
Oltre il Checkpoint Charlie, appariva una zelante riproduzione della scenografia tardostaliniana dominante in Russia. Sulla Karl Marx-Allee, già Stalinallee, teatro della rivolta operaia nel ’53, sembrava di ritrovarsi a Mosca, Leninskij Prospekt. In ogni quartiere, conformi fino all’inverosimile apparivano i palazzi con la pietra rossa dei basamenti, con i monumentali colonnati «neoclassico-proletari » e le celebrative composizioni statuarie. Gli stessi soldati russi nella loro libera uscita, papiroski fra i denti, apparivano sconcertati e imbarazzati dal falso scenario. Troppo assurdo, troppa enfasi tutta sovietica. Secondo Erich Kuby, era «un olimpo d’idoli d’argilla». Prima o poi la finzione sarebbe inevitabilmente crollata. Ma ora, fra i cultori della Ostalgie, gli anziani sembrano immemori. E forse di quella storia non sanno abbastanza i più inquieti esponenti delle ultime generazioni, concentrati sulle urgenti questioni del nostro tempo.
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