Il fattore C di Bersani

Dalla Rassegna stampa

Si diceva ne avesse uno potente Romano Prodi. Quello di Arrigo Sacchi diventò addirittura il titolo di un libro. Stiamo parlando, come qualcuno avrà già capito, della parte anatomica sinonimo di fortuna. Di culo, per dirla bene. S'avanza infatti prepotente un nuovo soggetto del quale si comincia a favoleggiare circa le portentose virtù propiziatrici del suo lato B: Pier Luigi Bersani. Al quale, come dimostrano i casi Vendola e Sonino, sembrano tornare dritte anche le cose andate storte. Bersani che, quasi senza colpo ferire, tra scandali giudiziari e pasticci altrui, si trova a vedere ogni giorno accresciute le possibilità di vittoria alle regionali. E che deve solo augurarsi che la presunta dote lo porti un po' più lontano di Prodi e Sacchi, partiti alla grande ma non altrettanto bene arrivati.
La leggenda sulla fortuna di Bersani ha cominciato a prender piede, sia dentro che fuori il quartier generale democratico di largo del Nazareno, qualche giorno dopo il disastroso (per il segretario) esito delle primarie pugliesi. Quando cioè si è fatta strada la convinzione che il trionfo di Nichi Vendola sul candidato di bandiera del Pd Francesco Boccia ha ottime probabilità di trasformarsi da umiliante smacco a successo politico. Perché - se il governatore uscente confermerà i sondaggi che lo vogliono in testa nella corsa alla presidenza della regione Puglia - la sera del 29 marzo non conterà il modo in cui si è arrivati alla designazione del candidato ma il pesante punto incassato dal centrosinistra. E a incassare sarà Bersani.
Il caso Bonino non è meno rocambolesco. Anche la leader radicale, come Vendola, è figlia di una scelta in negativo. Il Pd ha cercato a lungo una candidatura tra le proprie file. Non l'ha individuata. Si è ritrovatoper strada la Bonino, e così sia. A quelli del Pd pareva una sciagura la campagna "alla radicale" dell'ex ministro. In molti hanno accusato Bersani di non saperla gestire. Lo sciopero per il rispetto delle regole elettorali era giudicato una "pannellata" nel migliore dei casi, qualcosa di irriferibile nel peggiore, anche perché la crociata legalitaria di Bonino l'ha spinta a saltare più di una tappa elettorale, compresa la presentazione ufficiale dei candidati del centrosinistra, quando un imbarazzato Bersani, alla domanda se fosse possibile un ritiro della candidata nel Lazio, rispondeva con un dimesso: «Non credo». Poi, improvviso, il colpo di scena: il PdI romano inciampa proprio sulle regole, Renata Polverini si ritrova a dover fare a meno nella capitale del supporto del suo partito, cosa che rilancia non poco le chance di vittoria di Bonino, e - non ultimo quella che appariva una stralunata e ultraminoritaria campagna formalista si trasforma, col senno di poi, in una portentosa marcia per il rispetto della legalità (nella quale, per inciso, inciampa pure Formigoni: ma al leader del Pd conviene sperare che il governatore lombardo non sia tagliato fuori dalle elezioni, se non vuole correre il rischio che il combinato di esclusioni eccellenti si trasformi in un boomerang).
Non si può dire che Bersani ne vanti il merito, ma grazie alla situazione pugliese e al nuovo
scenario laziale è salito a nove il totale delle regioni dove il Pd può vincere: solo Lombardia, Veneto, Calabri a e Campania paiono del tutto fuori portata. E finisse nove a quattro, non ci sarebbe da giurare sulla tenuta del governo. Sul quale gravano peraltro le conseguenze, al momento non facilmente ponderabili, degli ultimi scandali giudiziari. Anche qui non senza un'inversione di tendenza rispetto al passato recente. Dopo un biennio in cui più di una giunta
di centrosinistra ha vacillato o è crollata sotto i colpi delle inchieste della magistratura (dall'Abruzzo a Firenze, da Napoli a Bari), aumentando a ogni giro di urne l`emorragia di voti democratici, caso vuole che alla vigilia delle regionali la questione morale si presenti di nuovo tutta intestata al centrodestra, con l'inchiesta sulla Protezione civile che è arrivata al cuore del Pdl (il coordinatore Denis Verdini) e coi danni in corso del caso Di Girolamo, per il quale nemmeno il sodale e amico Sergio De Gregorio ha voluto spendersi in una difesa convinta. Quanti voti costeranno a Berlusconi le inchieste? Difficile prevederlo. Ma qualcuno dice già: al posteriore l'ardua sentenza.
 

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