Fassino vince a Torino. E rilancia le primarie

Dalla Rassegna stampa

Qui non ha chiamato nessuno. In via Roma 53, nel fortino del candidato «altro» del Pd c'è l'atmosfera malinconica delle feste che finiscono.
I volontari siedono sui pacchi di volantini ancora sigillati, a far da tovaglia sul tavolo il manifesto elettorale 2 metri per 4 di Davide Gariglio. Non è andata bene. «Non siamo riusciti a farlo diventare un voto d'opinione». Dall'altra parte di piazza Castello, al quartier generale della Gran Torino di Piero Fassino, alle 8 di sera, urne ancora aperte, hanno chiamato Romano Prodi e Pier Luigi Bersani. Non erano complimenti per la vittoria, ma per l'affluenza. Però, insomma, il messaggio era chiaro, hai vinto tu.
Fino a una settimana fa la città sembrava indifferente a queste primarie che dovevano scegliere il candidato sindaco del centrosinistra. Nel giro di poco tempo i muri si sono riempiti di manifesti, soprattutto quelli dello sfidante, che ha davvero speso molto, in impegno e non solo, per lanciare la sfida al sindaco designato. Sono bastati quei pochi giorni, i frequenti appelli al voto di massa che provenivano da ambienti vicini a Fassino, segno che qualche timore c'era. Torino ha risposto. «Città della regola e della fantasticheria, di lei si condivide la civiltà» scriveva Cesare Pavese. La vittoria dell'ex segretario Ds è netta, un voto su due è andato a lui, che da domani potrà presentarsi come una sorta di candidato plebiscitario. Ma 52.922 votanti sono un numero che straccia le ultime due primarie torinesi, che nel 2007 e nel 2009 si fermarono a 39.000 schede, e rappresenta un brodino caldo anche per il Pd nazionale, che può spendere un successo di pubblico dopo i disastri di Milano, affluenza bassa e Napoli, non proprio un trionfo della trasparenza.
Fassino è consapevole di un risultato che porta acqua al suo progetto, fare di Torino un caposaldo della «resistenza» Pd al Nord. «Quando i cittadini vengono chiamati, ci sono. Questo risultato fa bene alla mia città, al centrosinistra e alla democrazia italiana. Oggi è accaduto qualcosa di positivo, qualcosa che può rinsaldare la fiducia nelle istituzioni e nella politica».
Gariglio è stato costretto a sperare in una affluenza bassa. Sotto i 35 mila voti le sue possibilità di vincere aumentavano in modo esponenziale, forte com'era dell'appoggio di alcuni esponenti del Pd locale, come il vicepresidente della Regione Roberto Placido e il consigliere Mauro Laus, che godono di una certa popolarità nella base.
Alle undici del mattino si erano presentati nei 76 seggi allestiti in città la bellezza di 17.000 persone. Gioco, partita, incontro. Alle otto di sera al seggio aperto alla bocciofila di corso Belgio, nel quartiere Vanchiglia, c'è ancora la fila. Nella sala attigua ci sono i pensionati che giocano a carte, e la coda arriva tra i tavoli. Sondaggio empirico tra i votanti, tutti di età avanzata. Due preferenze su tre vanno a Fassino. Che aveva scommesso sul ricordo lasciato in questa città, e alla prova dei fatti ha avuto ragione.
I dati ufficiali sono netti, designano un vincitore al 55 per cento, e gli altri candidati a dividersi il rimanente, con Gariglio che non va oltre il 25 per cento. «Ho appena telefonato al mio competitor, riconoscendo la sua vittoria netta. La battaglia era difficile, ma ci sono stati momenti in cui è sembrato possibile vincerla». Un giovane volontario lo abbraccia. «Mi sono molto divertito, anche se eravamo nel Pd» dice. Gariglio annuisce. «No, neppure stasera mi hanno telefonato da Roma. Non si sono mai fatti sentire, la loro scelta era evidente fin da subito. Perché dovrebbero farlo ora?».
Lo sfidante, giovane e ambizioso, ha poco da rimproverarsi. Ha giocato la sua partita puntando sulla necessità di un ricambio generazionale, vestendo i panni non suoi del rottamatore, quando in realtà è un cattolico di posizioni moderate. Forse, nella foga, ha dimenticato di gettare un'occhiata ai sondaggi che decretavano come la grande maggioranza degli elettori di centrosinistra fosse soddisfatta del modo in cui era amministrata la città. Alla fine si tratta di questo. Il legame tra Sergio Chiamparino e Fassino appare evidente, non solo per i rapporti di amicizia tra i due e la passata militanza nel Pci torinese. Non è un caso ché il sindaco uscente parli di continuità, aggiungendo che la sua successione «non poteva cominciare meglio». I torinesi, almeno questi 52.000, non sentivano una grande necessità di cambiamento.

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