Fassino al Carroccio: dialogo sul federalismo Lunga telefonata con il governatore Cota

Se Torino sarà un laboratorio politico, non dipenderà tanto dalle prossime performances dell'alleanza Pd-Idv-Sel che ha spopolato sotto la Mole ma dal "dialogo" sul federalismo che Fassino vuole aprire. Parlando già da sindaco e ancora da leader nazionale del centrosinistra, ieri ha invitato la Lega a «considerare che se si vuole dare a questo Paese un'intelaiatura federalista vera di cui io personalmente sono convinto, deve aprirsi ad un rapporto con il Pd e il centro sinistra perché questa è la condizione per realizzarla».
Parole ben più pesanti di quelle sul «profilo riformista» del Pd e di quelle (generiche) sul futuro della Fiat, se non altro perché poche ore prima, il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota, uno degli uomini più vicini a Bossi, aveva salutato il risultato con un «A Torino onore al merito a Fassino». Parole, giova aggiungere, seguite da una lunga telefonata con il governatore leghista, che Fassino ha motivato con la necessità di «delineare le azioni comuni da intraprendere per il bene dei cittadini». Insomma, i quattrocento passi che separano Municipio e Regione sono considerati una distanza non insormontabile, anche perché il confronto tra Pd e Carroccio sul federalismo costituisce il filo rosso delle ultime legislature e Fassino si muove, anche in questo caso, in continuità con Sergio Chiamparino, che nella veste di presidente dei Comuni italiani si è trovato spesso a collaborare (e a scontrarsi) con il governo nella formulazione dei decreti attuativi della riforma.
Resta da vedere con quanta convinzione il neosindaco - che ieri ha ricevuto una telefonata di congratulazioni di Napolitano - percorrerà quei quattrocento passi, che dovrebbero scardinare il berlusconismo («La Lega non può continuare in un'alleanza con chi nel federalismo non ha mai creduto») e aprire nuovi orizzonti al Pd. Il partito alle regionali aveva il 30% (compresa la lista Bresso e i radicali di Silvio Viale, fautore della pillola abortiva, che entrerà in Consiglio Comunale) ed è salito al 34,5%, prima formazione politica in città. Ancor più rotondo il risultato dei Moderati, una lista civica cresciuta da 4,91 a 9,06. Di Pietro (da 9,46 a 4,76%), invece, è stato cannibalizzato dai grillini (5,27%) e il candidato del PdL, Michele Coppola, da Domenico Coppola, un virtuoso dell'omonimia che ha soffiato al centrodestra il 3,63% (entrerà in Consiglio comunale), captato da liste "assonanti", come Lega Padana (nulla a che vedere col Carroccio), Dipendenti Pensionati e Disoccupati (ma i Pensionati sostenevano l'altro Coppola), Lista del Grillo (i grillini correvano da soli). Solo Forza Toro non presentava doppioni (forse perché l'altro Coppola è juventino) e Forza Nuova, l'unico partito vero di Coppola bis, ma ha ricevuto solo lo 0,11% dei voti.
Se l'importanza di chiamarsi Coppola è dunque provata, è tutta da dimostrare la proprietà transitiva secondo cui il centrosinistra "torinese" vincerebbe ovunque. Ne è convinto il neosindaco, che ieri ha tessuto le lodi del «bipolarismo mite» contro la «estremizzazione dello scontro cercata da Berlusconi», sostenendo che «il modello Torino può essere esteso. Dal nord il centrosinistra può trovare la forza e la spinta per una proposta che parli a tutto il Paese».
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