Il fantasma delle correnti che fa vacillare il cesarismo del Cavaliere

Un super classico fantasma si aggira sul Pdl: le correnti. E tanto possono fargli male, a tal punto sono in grado di scarnificare il progetto del fondatore che per il solo fatto di esistere, queste benedette correnti, e di essere nominate, hanno il potere di degradare il Popolo a partito - la libertà rimanendo in questo genere di sigle una plusvalenza piuttosto generica. Il presidente a vita Berlusconi se ne rende conto meglio di chiunque altro, e certamente ha riso a denti stretti- se ha riso ieri mattina scoprendo che Il Foglio l’ha chiamato «Cav. Il Sung», come il leader coreano che correnti non ne consentiva certo. Senza oltrepassare il 38° parallelo, né invocare il dispotismo asiatico (per quanto, a volte...): c’è comunque una sottile perfidia nella scelta di Fini, e anche una certa praticaccia in materia.
Nel vecchio Msi, a un certo punto, c’erano ben nove gruppi, battezzati in modo pure assurdo, tipo «Andare oltre», e gli avversari interni facevano il gesto con la mano, «vai! - dicevano - vai, vai oltre!». Ed era un piccolo partito d’opposizione.
Nel Psi dei primi annidi Craxi la corrente manciniana aveva anche la carta intestata e nel palazzone di via del Corso era vigente una disposizione geografica e logistica che rifletteva la divisioni fra autonomisti, demartiniani, giolittiani, lombardiani, poi achilliani, ogni gruppo rinchiuso nei propri quartierini, nelle proprie cellette. Vero è che Bettino sbaraccò tutto, ma verso la fine pure Martelli, delfino mancato, s’era fatto la corrente, e anche lo stesso Craxi, che negli anni precedenti aveva dato vita ai «riformisti».
Insomma, occhio: se l’incantesimo è antico, la prassi correntizia ha radici nella storia, quindi va e viene, toma e ritorna, non c’è leader che non abbia dovuto farci i conti, da Mussolini a Saragat, che nel Psdi ebbe i suoi guai dai tanassiani, significativamente detti «Banda del buco» o «Gramgnam» Figurarsi Berlusconi: dividere la sua creatura con qualcun altro che stabilmente, in via pregiudiziale e secondo logiche anche organizzative, gli si oppone pur rimanendo all’interno del Pdl. Sono sottigliezze che non rientrano nella sua concezione del comando, che è cesaristica, come appunto disse Fini, e aziendale; e nemmeno nella sua sfera psicologica.
Non esiste proprio che lui debba negoziare, contrattare con un’opposizione interna: quella esterna gli basta e gli avanza. Magari un «correntone», parola che a Roma suona fisiologicamente minacciosa e greve, come quello che si formò qualche anno fa nel Pds-Ds, aggiungendosi ai «miglioristi». Per anni il Pci fece ufficialmente a meno delle correnti, non di rado denigrandole come «frazioni». E’ dubbio che il Cavaliere possa adottare tale griglia interpretativa. Ma con il tempo, e secondo quella sottile ipocrisia che imponeva ai creatori di correnti di identificarle prima come «aree culturali» e poi come «componenti», anche il mondo comunista fu definitivamente contagiato, e l’epidemia si è presa anche il Pd. Dove oggi, non a caso, D’Alema e Veltroni si rinfacciano reciprocamente di aver dato vita a delle correnti mascherate da fondazioni. L’ultima trasformazione, l’ultima furbizia, l’ultimo piolo di una interminabile scala condominiale che si slancia verso non si sa bene cosa, né dove.
Inutile dire, nel momento in cui si va ad allestire il più mirato e pretestuoso dei revival, che i democristiani non ebbero concorrenti nella serenità ed efficacia con cui nell’arco di mezzo secolo incessantemente impastarono e rimescolarono le loro correnti. E questo non solo perché all’inizio queste - si pensi ai professorini «dossettiani» - avevano le loro anche nobili ragioni ideali. Era l’antropologia dc a richiederle, lo sminuzzamento del potere, quel prodigio so sistema che combinava pesi e contrappesi a prevedere la raccolte di firme, la nevrosi distributiva, la moltiplicazione delle percentuali, le agenzie di stampa per iniziati, le claques nei torpedoni ai congressi, le riunioni nei conventi e poi negli alberghi, i convegni estivi in montagna o alle terme, i «giovani turchi», il «clan degli avellinesi», la «corrente del Golfo», il manuale Cencelli. Disse una volta Krusciov a Fanfani: «Sa, anche io ho i miei dorotei... «. Era una specie di sospiro: qualche anno dopo, come era successo più volte a Fanfani, fu spedito in pensione, ma lui per sempre.
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