Il fallimento del maggioritario divide gli studiosi

Dalla Rassegna stampa

Se c'è qualcuno che nella nuova guerra ideologica fra maggioritaristi e proporzionalisti non si vuole schierare quello è Giuseppe Calderisi. Ex radicale, oggi deputato del Pdl alla Camera, è il riconosciuto esperto con la e maiuscola di sistemi elettorali. Eppure, a Calderisi la proposta dell'ex direttore dell'Economist Bill Emmott di adottare in Italia quel sistema come alternativa al maggioritario non piace per nulla. «In quel modello l'unica cosa che conta sono le preferenze».
Il sistema - denominato anche voto singolo trasferibile - funziona più o meno così: l'elettore ha a disposizione una lista di candidati da votare in ordine di preferenza. Se il primo non viene eletto, il suo voto è valido per l'elezione del secondo. Il sistema, con alcune varianti, è applicato, oltre che in Irlanda, a Malta e per l'elezione del Senato australiano.
Calderisi non ha dubbi: «In un Paese come il nostro, ad alto tasso di clientelismo politico,adottare un simile meccanismo sarebbe un vero disastro. In alcune zone del Paese annullerebbe il ruolo di cerniera dei partiti. Altro che Porcellum». La proposta non convince nemmeno il politologo Giovanni Sartori: «Credo che allargare il campo del dibattito ad altri sistemi rischi di ingenerare confusione. Le alternative in campo sono tre: il ritorno al Mattarellum, il sistema tedesco o quello francese a doppio turno. Se si vuole discutere di modelli, meglio ragionare su quelli simili al nostro». Sistemi elettorali a parte, la proposta di Emmott parte comunque da una convinzione di fondo, ovvero che il bipolarismo italiano avrebbe fallito. Di più: non è adatto al contesto italiano. È così? I giornali di questi giorni parlano da soli: minacce di scissione, scissioni in atto, gruppi parlamentari che spuntano come funghi in autunno, probabilmente la fine del Pdl per come l'abbiamo conosciuto.
Eppure non è facile trovare un esperto pronto a dire che il bipolarismo italiano sia di fronte ad una crisi irreversibile. Il costituzionalista Pd Stefano Ceccanti è sferzante: «La sua tesi somiglia a quelle che usava Churchill: a noi la democrazia parlamentare, a voi Mussolini. Battute a parte, il sistema maggioritario non ha funzionato a dovere perché non è mai stato applicato in modo coerente. E poi il bipolarismo tiene eccome: pur con tutti i suoi difetti, il sistema di elezione dei Comuni non ha garantito e non sta garantendo stabilità nelle amministrazioni?». Sartori invita a guardare il problema da due punti di vista: «Una cosa è il bipolarismo politico, altra cosa è quello degli elettori. E' evidente che se i partiti si estremizzano aprono uno spazio al centro dello schieramento politico. Se viceversa convergono al centro, quello spazio non c'è. Dunque i primi a decidere delle sorti del sistema bipolare sono le strategie di Pd e Pdl».
Insomma, una cosa è il bipolarismo, altra cosa è il bipartitismo: se la storia non l'ha mai imposto una volta per tutte in Gran Bretagna - oggi governata dal centro-destra alleata con i liberali - figuriamoci in Italia. Certamente, ammette il costituzionalista Tommaso Frosini, «in Italia il bipolarismo ha faticato e fatica ad affermarsi: le tesi di Emmott hanno più di un fondamento. E però io credo che negli elettori italiani lo spirito maggioritario sia acquisito. Una cosa è pensare che il panorama politico si divida in due blocchi, altra cosa è immaginare di porre fine alla possibilità per il cittadino di scegliere una maggioranza e un governo frutto di un accordo di coalizione. Sfido a trovare qualcuno disposto a rinunciarvi».
Calderisi non è d'accordo: «Con proposte come quella di adottare il sistema tedesco vedo in atto un progetto di restaurazione che cancellerebbe il bipolarismo». Però l'ex radicale non è d'accordo nemmeno con chi pensa che la soluzione ai mali dell'attuale sistema proporzionale sarebbe il ritorno al Mattarellum, cioè al sistema inglese accompagnato da una quota proporzionale. Teme che la Lega possa così fare il pieno, oltre che dei voti, dei seggi al Nord.

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