Facciamo lo sciopero dello fama!

Non mi stupirebbe se venissi a conoscenza di uno “sciopero delle veline” per le poche copertine a loro dedicate. O di uno stop dei cantanti da karaoke di "Amici" per i pochi guadagni sui dischi. O ancora di una serrata delle “attrici venute dai reality” per protestare contro i pregiudizi a loro affibbiati. Credo che l'Italia abbia davvero bisogno di uno sciopero: lo sciopero della fama.
Spegniamo la tv, non compriamo riviste di gossip, non andiamo allo stadio. Siamo noi il perno decisivo della vita italiana, siamo il basamento su cui gli altri costruiscono il proprio successo: siamo la gente comune, andiamone fieri, tutto dipende da noi!
Da sempre associo la parola “sciopero” a qualcosa di silenzioso, di assente. Che proprio con la sua mancanza dimostra di essere indispensabile. E poi associo questa parola a Gandhi, allo sciopero della fame. E perdonatemi se trovo un po' blasfemo avvicinarlo ad Anna Hazare, il 77enne indiano tanto amato dai media, volgarmente accostato al Mahatma per antonomasia. Come Gandhi, anche Hazare ha deciso di intraprendere una lunghissima serie di scioperi della fame, ma per motivi completamente differenti. Gli studenti universitari del villaggio di Bhadway hanno detto: «La nostra società vive, mangia e respira bustarelle. Sono tutti corrotti, dagli impiegati fino al primo ministro». Hazare dice di digiunare per questo per protestare contro la corruzione. Ma non so se si è posto una domanda: gli 830 milioni di indiani che vivono con 20 rupie al giorno - 30 centesimi di euro trarrebbero vantaggio dalla guerra civile che precede il crollo politico che lui sogna?
Non vedo analogie con Gandhi, se non nel mezzo della protesta: lo sciopero della fame. Ma allora anche Marco Pannella dovrebbe essere iscritto nelle enciclopedie come “il Gandhi italiano”! Per non parlare di Barre Horne, attivista vegano inglese morto a 49 anni nel 2001 a causa di uno sciopero della faine di 68 giorni. Voleva solo difendere i diritti degli animali: non mangiava per chiedere al governo un'indagine pubblica sulla vivisezione. E quando è morto è stato etichettato come “terrorista” dalla stampa britannica. La salute degli animali interessa a ben poche istituzioni, non è una novità.
Paese che vai, sciopero che trovi: in Italia si parla del grande sciopero dei calciatori, loro sì poveretti che hanno bisogno di stipendi dignitosi. A loro non basta fare lo sport più pagato e pubblicizzato del Paese, non basta prendere in giro le passioni di tifosi che fanno fatica a trovare i soldi andare allo stadio. E tutto perché anche nel calcio, così come nella politica e nella cultura, non ci sono più le identità nazionali. Nessuno gioca per la maglia che porta. E oltretutto nel calcio italiano sono quasi tutti stranieri, ben lontani dal rappresentare un gruppo compatto, unito da un'identità nazionale che almeno nello sport dovrebbe ritrovarsi.
© 2011 Il Secolo XIX. Tutti i diritti riservati
SU