Expo, l'occasione (quasi) perduta

Dalla Rassegna stampa

Nell’Italia che ha altro a cui pensa­re, parlare di Expo e di Milano sembra quasi fuori luogo, ma il sinistro scricchiolio che arriva dal capoluogo del Nord (opere pubbliche in ritardo, finanziamenti ta­gliati, risse istituzionali, conti pubblici in rosso) è un brutto segnale per tutti. Se uno dei motori possibili della ripresa è già in avaria vuol dire che c’è un allarme da non sottovalutare che va oltre il silenzio del mini­stro del Tesoro, il disinte­resse della Lega e il gelo del premier: vuol dire che Mila­no rischia di perdersi anco­ra una volta nei ritardi e nel­le nebbie della bassa politi­ca, rinunciando a quel ruo­lo tante volte invocato di guida, di traino dell’intero Paese.

C’è sicuramente un ma­lessere generale, il peso di una crisi che avvolge un po’ tutti, ma se dopo il rullio di tamburi per l’Expo il risulta­to percepito è solo un bal­letto di potere, una inutile guerra tra Roma e Milano, allora vuol dire che non in­teressa la partecipazione, la potenzialità civica della cit­tà, il progetto di rilancio ca­pace di dare una prospetti­va al futuro di tanti giovani. Milano in questi giorni sta facendo da sola la sua parte, e male. Undici milio­ni di deficit all’inizio della gestione non sono una buo­na partenza. L’Expo 2015, nonostante il masterplan e l’orto globale dedicato ai va­lori della sostenibilità, del­l’ambiente e della ricerca contro la fame nel mondo, resta un’incompiuta che non decolla. Doveva dare al­la città più metropolitane e meno traffico, più decoro e meno degrado, un sistema di infrastrutture da capitale europea e una Grande Bre­ra da offrire ai visitatori di tutto il mondo. Ma tra accu­se, dimenticanze romane e buchi di bilancio, il grande evento sta diventando il pretesto per un regolamen­to di conti, una litania di oc­casioni perdute.

Colpiscono l’inerzia, l’im­mobilismo, il gioco delle parti: la Provincia senza fondi, la Regione già in campagna elettorale, il sin­daco Moratti schiacciato in un angolo dai dubbi nella maggioranza sulla sua ri­candidatura. Ma sorprende di più l’incapacità di coin­volgere le forze positive di Milano in un progetto im­portante, da presentare al mondo: la città dei talenti, dei creativi, dell’imprendi­toria diffusa, delle universi­tà e della ricerca si aspetta­va (e meritava) molto di più.

E così si perde il senso di un’opportunità, di un futu­ro che con l’Expo si potreb­be inventare, come nel lon­tano 1881, quando Milano odorava ancora di fieno e acque stagnanti ma era una città in divenire e faceva de­collare, insieme alle fabbri­che, la «vitalità del senti­mento » nelle arti e nella scienza. Servirebbe qual­che segnale diverso da par­te di chi governa questo evento, da Milano e anche da Roma, un’assunzione di responsabilità sui finanzia­menti dovuti, un maggior gioco di squadra. Oggi l’Expo sembra diventata una clava per colpire l’av­versario, un simbolo che mostra più inefficienze che potenzialità. Forse si può ancora rimediare, corregge­re la rotta, restituire a Mila­no l’orgoglio di fare e fare bene. L’Expo non è più una partita immobiliare, è l’oc­casione per mostrare le buone pratiche di un Paese e di una città. Il nuovo dise­gno architettonico è un’idea che va sfruttata me­glio, mobilitando energie che creano consenso. An­che nell’austerità ci può es­sere entusiasmo. I privati pronti a dare una mano non mancano, ma oggi chiedono dove si andrà con l’Expo 2015: verso il mondo o in un ingorgo di traffico, come a una sagra di paese?

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