Europa contro la pena di morte in Giappone, ma ora anche a Riad

Dalla Rassegna stampa

Arabia Saudita, Giappone. Diversi e lontani, sono tuttavia Paesi accomunati da una strenua difesa della pena di morte. In uno degli exploit recenti, i magistrati di Riad stanno per giustiziare un mago televisivo libanese, Ali Sibat, arrestato per stregoneria. Nell`arcipelago i condannati languono per anni e letteralmente impazziscono - ha documentato Amnesty International - senza sapere quando verranno uccisi, mentre tra il 60 e l`80% della popolazione è convinta che non si possa vivere sereni senza la rassicurante presenza del boia. In Giappone l`Unione Europea ha intrapreso una vera e propria iniziativa diplomatica presso il governo per avviare un dibattito pubblico e suggerire un percorso che porti almeno a una moratoria. Lo slancio viene dalla vittoria elettorale del Partito democratico di Yukio Hatoyama e dalla nomina alla Giustizia di Keiko Chiba, abolizionista. Il 9 ottobre una task force diplomatica Ue, di cui fa parte l`Italia, ha illustrato al ministro l`allarme per «la significativa accelerazione dell`applicazione della pena capitale dal 2006» e per «l`aumento dei detenuti nel braccio della morte», auspicando un «cambiamento». E ha organizzato con l`università Waseda un seminario proprio per seminare dubbi. Si è pronunciato il nome di Cesare Beccarla. Un giurista, Koji Tonami, poi, ha avanzato dubbi sulla costituzionalità della pena capitale. Un altro ministro abolizionista, Shizuka Kamei, ha spiegato: «II Giappone vive un paradosso. Non ha senso essere contro la guerra ma volere la pena di morte, un omicidio di Stato commesso su qualcuno che è già in cella e dunque non può nuocere. Impossibile l`abolizione subito, ma basterebbe introdurre il carcere a vita» (l`ergastolo in Giappone non esiste). Chissà che l`iniziativa Ue non possa essere presa a modello anche per l`Arabia Saudita, Paese pur sempre «amico» dell`Occidente, o per altre nazioni di quel terzo del mondo insensibile al trend abolizionista (di diritto o di fatto). Provarci, insomma. Rispettosamente, ma convintamente.

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