Espulsioni a rischio senza la direttiva sui rimpatri extra Ue

Dalla Rassegna stampa

Le norme Ue sul rimpatrio degli immigrati irregolari parlano chiaro. Ma bisogna distinguere: per i Rom, cittadini comunitari, vale la direttiva che l'Italia ha recepito e applica da tre anni. Per gli extracomunitari manca invece un tassello importante e vicino: la scadenza del prossimo 24 dicembre, termine ultimo per recepire la direttiva 20o8/115/Ce sul rimpatrio degli irregolari, approvata due anni fa tra tante polemiche. Finora solo 4 Stati membri (Belgio, Spagna, Lettonia, Slovacchia) l'hanno recepita. Difficile che tutti gli altri ce la facciano, anche considerando i tempi dell'iter parlamentare.
Dal Viminale ricordano come durante un'audizione parlamentare dello scorso aprile il ministro Roberto Maroni abbia sottolineato che «il governo farà di tutto per rispettare questa scadenza, ma si orienterà verso un recepimento della direttiva che non incida su alcuni importanti aspetti della normativa sull'immigrazione recentemente introdotti». La stessa direttiva europea, precisò il ministro in quell'occasione, «lascia liberi gli Stati membri di decidere modalità di recepimento, che ne escludano l'applicazione agli stranieri il cui rimpatrio costituisce sanzione penale o deve avvenire come conseguenza di una sanzione penale». Dall'estate 2009, infatti, è diventata operativa la stretta sulla clandestinità attraverso l'introduzione del reato e l'allungamento a sei mesi del tempo massimo di trattenimento negli ex Cpt.
L'appuntamento, però, è decisivo. Le discussioni e i contrasti che accompagnano il rimpatrio dei Rom in Francia e nel nostro Paese potrebbero estendersi anche ai casi, di gran lunga più numerosi, degli immigrati extra Ue. Gradualità e rimpatrio volontario sono i cardini del provvedimento comunitario più difficili da mettere in pratica nei decreti dì allontanamento che spesso sono senza distinzione sulla specificità dei singoli casi. «Se non fossero applicati i due passaggi cardine del rimpatrio volontario e della gradualità dei provvedimenti - spiega Gianfranco Schiavone dell'Associazione studi giuridici sull'immigrazione, Asgi - il giudice potrebbe ritenere i decreti di espulsione impugnati dagli extracomunitari irregolari incoerenti rispetto ai nuovi principi». Con un possibile effetto a cascata sulla nullità degli stessi. Eppure la direttiva "rimpatri" del 2008, criticata anche da diverse organizzazioni non governative per il suo rigore e per alcuni automatismi, va incontro alle esigenze degli Stati che vogliono combattere l'immigrazione irregolare, pur facendo salvi i diritti fondamentali riconosciuti a livello internazionale.
Primo fra tutti il principio di non refoulement e l'obbligo di garantire l'interesse superiore del minore, il rispetto della vita familiare degli immigrati e il diritto di asilo. Senza dimenticare l'obbligo di applicare le misure di rimpatrio senza discriminazioni, inclusa l'appartenenza a una minoranza. Principio guida della direttiva, che si applica ai cittadini di Paesi terzi in una situazione di irregolarità in uno Stato membro, è l'obbligo - come precisato nel Preambolo - di adottare decisioni sul rimpatrio caso per caso, con un'attenta valutazione delle circostanze specifiche da parte delle autorità nazionali.
Nel segno di un equilibrio tra rigore e tutela degli immigrati, la direttiva impone agli Stati che adottano decisioni sul rimpatrio degli irregolari di garantire, al tempo stesso, agli immigrati, il diritto alla partenza volontaria da realizzare in un periodo compreso tra i 7 e i 30 giorni. Un diritto che gli Stati possono però condizionare all'esplicita richiesta dell'interessato, prevedendo condizioni per evitare il pericolo di fuga. Non solo. Il diritto può saltare in tutti i casi in cui vi siano rischi per l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale o nei casi in cui l'immigrato non parta nel termine fissato. Scatta poi il rimpatrio forzato (con l'obbligo per i Paesi membri di prevedere un centro di monitoraggio) e il provvedimento di allontanamento anche con misure coercitive proporzionali all'obiettivo perseguito - che può essere affiancato da una decisione che vieti un nuovo ingresso per un periodo non superiore ai 5 anni.

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