Esito non scontato e il processo prosegue

E adesso che succede? È l'interrogativo che arrovella Montecitorio. La prassi per i conflitti di attribuzioni è già scritta. I capigruppo della maggioranza hanno presentato la lettera, peraltro senza alcuna indicazione di un oggetto, al presidente della Camera. Il quale, per un parere, la invia alla giunta per le autorizzazioni. Lì la questione viene delibata e ci si esprime con un voto. La pratica torna al presidente e all'ufficio di presidenza. Che deve decidere se passare il conflitto all'aula. Perché un conflitto possa giungere alla Consulta esso deve necessariamente passare per l'aula di Montecitorio che deve votare. Altrimenti il conflitto non esiste.
Qui sorge un problema. I berlusconiani ritengono che quello di Fini sia un "atto dovuto". Ma i precedenti della Camera, già studiati attentamente dagli uffici, dimostrano che non è affatto così. Ci sono ben quattro casi in cui i conflitti si sono fermati prima. Quello Faggiano-Sardelli del 2003, per via di un conteggio di voti in Puglia, che pur con un parere positivo della giunta perle elezioni, non approdò in aula perché bloccato dall'ufficio di presidenza.
Lo stesso è accaduto per il caso di Sergio D'Elia, contestato dalla Regione Toscana per il suo ruolo di segretario di presidenza. I radicali volevano il conflitto, l'ufficio di presidenza a maggioranza lo fermò. E siamo al caso Mancini che contestava di aver subito intercettazioni telefoniche non autorizzate, dove sia la giunta che l'ufficio di presidenza bocciarono il conflitto. Infine il caso Evangelisti-Brunetta del giugno 2010, quando il primo voleva sollevare conflitto contro il secondo per la risposta a un'interrogazione, ma il caso si è fermato prima dell'aula.
La materia è caldissima. Qualora il conflitto arrivi comunque alla Consulta essa valuterà prima l'ammissibilità e poi, in caso di risposta positiva, si esprimerà nel merito. Il processo comunque non si blocca fino alla sentenza.
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